Un sicario alla corte
dei Gonzaga
di
Tiziana Silvestrin
Scrittura &
Scritture Edizioni
Narrativa romanzo
giallo
Pagg. 320
ISBN 9788889682722
Prezzo € 14,50
Un trittico riuscito
E
così, dopo aver letto I leoni d’Europa e Le
righe nere della vendetta, mi sono dedicato all’ultimo dei tre romanzi
fino ad ora pubblicati, Un sicario alla corte dei Gonzaga,
stesso protagonista il capitano di giustizia Biagio Dell’Orso, medesima epoca
(il XVI secolo) e identica ambientazione nella Mantova ducale di quello che fu
probabilmente il più famoso della dinastia, Vincenzo. L’intreccio giallo non fa
una piega, con un misterioso sicario che attenta più volte alla vita del duca,
sempre scampato miracolosamente, ma in vece sua sono perite altre persone.
L’indagine si presenta particolarmente difficile, perché mancano sia l’identità
dell’assassino, sia quella del mandante e di conseguenza Biagio Dell’Orso
annaspa nel buio, anche perché il sicario, se fallisce nel suo incarico, non
lascia altre tracce, se non il veleno a cui è ricorso e, in un’occasione, la
prima, quando perde, nello scassinare una porta, uno zaffiro che, insieme ad
altre pietre grezze, tempestava l’elsa di un pugnale utilizzato nell’occasione
come un grimaldello. Se la caccia allo sconosciuto assassino si
presenta di estrema difficoltà, ancor più arduo è determinare il mandante,
perché, come tutti i signori dell’epoca, il duca Vincenzo ha più di un nemico.
Che siano i Turchi contro i quali si appresta a battersi in Ungheria a difesa
della Cristianità, e soprattutto dell’Impero? Che si tratti di Ferruccio
Farnese, la cui sorella è rinchiusa in un convento a Parma dopo l’annullamento
del matrimonio con Vincenzo, per l’impossibilità di lei di poter congiungersi
con il marito e quindi di procreare? Che c’entrino i Medici e soprattutto
Bianca Capello, cortigiana veneziana, poi amante di Cosimo e infine diventata
sua moglie, sul conto della quale i Gonzaga avevano non poco spettegolato?
Insomma, di possibili interessati alla morte del Duca ce ne sono diversi,
ognuno dei quali per ragioni le più disparate. Come venirne a capo? Non intendo
svelare altro, perché la trama avvincente e incalzante di questo giallo
storico, che vede di volta in volta la sua ambientazione a Mantova, a Parma, a
Venezia, a Praga e a Vienna è una di quelle che invitano a scorrere velocemente
le pagine, ansiosi di arrivare alla soluzione, che puntuale troviamo alla fine,
logica in tutti i suoi aspetti. Certo c’è il rischio che, a
lasciarsi prendere dalla smania di sapere chi siano il colpevole e il mandante,
non ci si soffermi sullo stile fluido dell’autrice, sulle descrizioni
essenziali e in funzione dello scopo, su aspetti che possono apparire secondari,
ma che contribuiscono non poco alla gradevolezza dell’opera. Mi riferisco ai
colloqui, mai banali, fra il consigliere ducale Marcello Donati e Biagio
dell’Orso, alla storia d’amore fra quest’ultimo e la bella veneziana Rosa, che
ci si augura di vedere finalmente sotto lo stesso tetto non saltuariamente,
all’atmosfera della piccola città cinta dai laghi che quasi miracolosamente si
svela ai nostri occhi negli scorci più suggestivi, nella variopinta folla che
ogni giorno vi vive.
Tiziana Silvestrin è
veramente brava e sono certo che meriterebbe un consenso assai superiore a
quello attuale, peraltro non marginale. Mi chiedo se stia procedendo a
scriverne un quarto; è un sospetto e una speranza, visto che il libro si chiude
con una frase che Donati dice a Dell’Orso: “C’è qualcosa che devi vedere,
qualcosa …dispaventoso.”. Insomma, per quanto ovvio, anche il lettore
brama vedere cosa ci sia di così spaventoso, una frase che se non è una
certezza di un seguito, lascia però ben sperare. Al riguardo, e la notizia
è recentissima, Tiziana Silvestrin mi ha confermato che fra non molto
uscirà un quarto romanzo, con il bravo capitano di giustizia impegnato in
un’altra difficile indagine.
Nell’attesa,
la lettura di Un sicario alla corte dei Gonzaga è più
che consigliata, anzi è vivamente raccomandata.
Tiziana Silvestrin ha scritto
i seguenti romanzi, tutti pubblicati da Scrittura & Scritture Edizioni: I
leoni d’Europa (2009), Le righe nere della vendetta (2011), Un sicario alla
corte dei Gonzaga (2014).
Intervista
di Renzo Montagnoli alla narratrice TizianaSilvestrin, autore dei romanzi I leoni d’Europa, Le righe nere della
vendetta e Un sicario alla corte
dei Gonzaga, tutti editi da Scrittura &
Scritture
Tiziana Silvestrin è
una narratrice mantovana che ha scritto tre riusciti romanzi ambientati nel XVI
secolo a Mantova quando vi regnavano nel periodo del loro maggior splendore i
Gonzaga e imperniati sulla figura del capitano di giustizia Biagio dell’Orso;
si tratta di gialli storici in cui, nell’ambito di vicende realmente accadute,
vengono inseriti anche dei personaggi di fantasia. La commistione fra realtà e
inventiva é perfettamente in equilibrio e ciò non poco contribuisce alla
qualità delle opere.
D:
Quale è la genesi di questo trittico? In pratica Le chiedo come è venuta l’idea
di scrivere questi tre originali gialli storici.
R:
Quello che mi colpisce è il mistero che avvolge un avvenimento oppure un
dipinto ed anche il fatto clamoroso spiegato in maniera poco convincente. Ad
esempio nelle Righe nere della vendetta sono stata colpita
dalla pianta raffigurata nel ritratto di Giulio Romano, un edificio a base
circolare che nessuno storico è mai riuscito a identificare. Nelle mie ricerche
ho scoperto che a quell’epoca di edifici a pianta circolare a Mantova ce
n’erano due, di cui uno era la Rotonda di San Lorenzo, che ha però una
struttura diversa, e l’altro una chiesa costruita su un antico tempio romano
che si trovava nel lazzaretto di San Lorenzo: un nascondiglio
perfetto. Nei Leoni d’Europa a colpirmi è stata la
figura dell’Ammirabile Critonio e la sua strana scomparsa. Questo
bellissimo giovane era il figlio del Lord Advocate di Maria Stuarda,
aveva parentele influenti e non riuscendo a capire cosa ci facesse alla corte di
Guglielmo Gonzaga, che certo non brillava per generosità, ho studiato la sua
vita e ho scoperto le tracce di un complotto internazionale che coinvolgeva le
corti di Mantova, Venezia, Milano, Parigi, la Spagna e Londra, oltre ovviamente
al Vaticano. E nell’ultimo, Un Sicario alla corte dei Gonzaga, non
mi convinceva il processo a carico del Pantara, un ladro di bestiame
accusato di essere un emissario del duca Ranuccio Farnese, proprio
nel periodo della guerra fredda tra lui e Vincenzo I. Ho quindi immaginato che
dovesse esserci una spia ben addestrata, come sarà
sicuramente avvenuto, con il compito di uccidere il duca di Mantova.
D:
Capisco che esistono arcani misteri, elementi che possono colpire e far nascere
quel processo di elaborazione inconscio che è proprio della fantasia. Nei suoi
romanzi c’è però qualche cosa di più, c’è un profondo desiderio di ricerca
della verità, e questo mi viene anche confermato dalla sua risposta. Dov’é,
cosa significa quell’edificio a pianta circolare, che cosa ci faceva
esattamente a Mantova il Critonio, è mai possibile che Ferruccio Farnese,
spietato, ma anche scaltro si avvalesse di un sicario di infimo ordine? Sono
tutte domande che si pone lo storico, il quale, a posteriori, cerca la verità.
Sono libri, i suoi, che possiamo definire romanzi storici, ma che hanno anche
caratteristiche di saggio storico. E così, anziché la ricerca dell’autore in
prima persona, la missione viene demandata a un personaggio di fantasia, a un
investigatore che ha tutte le caratteristiche per destare simpatia e interesse.
Come è nato Biagio dell’Orso?
R:
In effetti dietro ogni romanzo c'è un grande lavoro di documentazione e di
ricerca, anche d'archivio; molto spesso le lettere rivelano più di quello che
dicono, sui fatti storici. Inoltre curo sempre molto l'ambientazione, ho
visitato tutti i luoghi in cui si svolgono le vicende di cui narro e
quando non esistono più mi documento attraverso i quadri, le stampe o le piante
degli edifici. Il convento dei domenicani dove si trovava il tribunale dell'Inquisizione
a Mantova non esiste più, nemmeno la chiesa che è stata distrutta agli inizi
del secolo scorso, solo il campanile è stato risparmiato; ma ne ho trovato
la pianta in un libro dell'ottocento e servendomi di quella ho descritto
il percorso seguito di notte dal figlio del boia per entrare e uscire.
Biagio dell'Orso era
il capitano di giustizia al tempo di Guglielmo Gonzaga, un nome su alcune
lettere conservate all'archivio storico, la persona comunque che aveva indagato
sul "caso dell'ammirabile Critonio" e l'ho fatto diventare
il protagonista dei miei romanzi. Il capitano di giustizia nel ducato di
Mantova, così come in quelli di Milano o di Ferrara non era un'autorità
indipendente, ma era un funzionario costretto suo malgrado a obbedire agli
ordini del duca. Ne è uscito un personaggio tormentato che non si
adatta ai rituali della corte e non si limita a eseguire gli ordini, ma
segue il suo istinto e cerca la verità in tutte le sue indagini. Biagio è
sopratutto un personaggio che prova una profonda compassione, adesso diremmo
empatia, per tutti gli sfortunati, per coloro che non possono ribellarsi
alle ingiustizie che subiscono. Nonostante il suo carattere, o forse proprio
per quello, gode delle stima e dell'amicizia di molti, a cominciare dai
consiglieri ducali che fanno di tutto per evitargli gli strali del duca quando
prende a calci qualche nobile prepotente.
D:
Quindi Biagio dell’Orso non è un personaggio inventato, è esistito veramente;
frutto della creatività è la sua personalità di uomo insofferente alle
ingiustizie e naturalmente propenso a prendere le difese dei deboli, degli
sfortunati, insomma di chi non ha potere. Per certi aspetti assomiglia un po’
al famoso commissario Maigret, con la differenza che quest’ultimo non fa mai
uso della forza. È d’accordo con questo paragone? Questa è una domanda, ma
colgo l’occasione per porne un’altra: quanto c’è di lei in Biagio dell’Orso?
R: Grazie
per il paragone più che lusinghiero; direi che per certi aspetti lo ricorda;
anche Biagio nelle sue indagini riesce a cogliere i particolari che servono a
collegarlo al colpevole, a capire i motivi che hanno portato al delitto e come
lui non è molto socievole. Nell'epoca in cui è vissuto per far rispettar
l'ordine l'uso della forza era praticamente inevitabile, le guardie avevano
spesso di fronte banditi di strada e tagliagole, gente che non aveva nulla da
perdere e che doveva evitare la prigione a ogni costo, viste la condizione
delle carceri di allora e le punizioni inflitte, di solito corporali,
inoltre negli scontri venivano usate soprattutto spade e pugnali, le
pistole erano ancora molto imprecise e sparavano uno o due colpi al
massimo, per cui si passava subito alle armi bianche. Anche le città erano
molto di diverse da come sono ora, di notte le porte venivano chiuse, nessuno
poteva entrare o uscire e data la presenza dei banditi che infestavano le
strade era assolutamente impensabile uscire dalle mura senza avere una scorta
armata. Per le persone comuni era anche molto difficile ottenere giustizia, se
non si incontrava qualcuno come Biagio dell’Orso.
Quello che più mi accomuna al mio
personaggio è l’insofferenza per i soprusi, le prevaricazioni e dato che sono
un’ambientalista la lista delle cose che non sopporto si allunga con i reati
contro gli animali e l’ambiente. Parafrasando un famoso film direi che “Questo
non è un paese per idealisti”.
D: Purtroppo le
ingiustizie sono di questo mondo, poi ci può essere il paese in cui sono più
frequenti, ma direi che nessun stato ne è immune. Fino ad adesso abbiamo parlato
di Biagio dell’Orso, protagonista principale dei tre romanzi, ma poi ci sono
altri personaggi sempre presenti: mi riferisco al Donati, consigliere del duca,
e allo speziale, di cui ora non mi ricordo il nome, e senza dimenticare
il bargello. Questi tre individui sono resi molto bene nello loro
caratteristiche, al punto che mi viene il sospetto che siano realmente
esistiti. È così, oppure si tratta di un pregevole lavoro di cesello della
fantasia?
R: Sono esistiti tutti
e tre, ma solo di uno ho potuto reperire la biografia.
Di Gio Morisco è rimasta
qualche relazione sulle risse che si è ritrovato a sedare,
di Hyppolito Geniforti si conosce il suo coinvolgimento nel
"caso dell'Ammirabile Critonio" e grazie, a un testamento,
il contenuto della sua spezieria, compresa una stampa con l'insegna
della sua bottega dove le foglie e i frutti della castagna d'acqua che fanno da
cornice a una piccola Sirena.
Del prima medico di corte e poi
consigliere ducale Marcello Donati ho avuto la fortuna di poter leggere la sua
biografia con tanto di ritratto e da questa, oltre che da altri episodi in cui
è stato coinvolto alla corte ducale, sono riuscita a dedurne il
carattere. Il Donati aveva una straordinaria passione per la medicina e
deve aver sofferto molto quando il duca Guglielmo gli ha chiesto di diventare
suo consigliere; non si è opposto alla decisione del
Gonzaga perché era un uomo estremamente tremebondo, ma credo di
essere riuscita a farne un personaggio simpatico nonostante la sua
vigliaccheria.
D: Direi che tutti e
tre sono delle caratterizzazioni che riescono a renderli simpatici. Marcello
Donati è certamente un pavido, ma non mi sentirei di definirlo vigliacco,
perché non ha mai tradito Biagio dell’Orso, di cui è sincero amico. E la bella
ostessa veneziana, la fidanzata che il capitano di giustizia vede solo quando
ne ha l’occasione, è esistita pure lei? E già che ci sono, il simpatico vescovo
del Monferrato non è di fantasia?
R: Rosa è uno dei pochi personaggi di fantasia,
anche se sarebbe potuta esistere e forse è veramente esistita una donna così,
rimasta vedova a causa della peste e costretta a portare avanti da sola
l'attività del marito. Le vicende della peste le ho tratte da un manoscritto
inedito conservato nella biblioteca di Verona di un notaio, Rocco de Benedetti,
che racconta cosa succedeva a Venezia durante la peste del 1576, lo stato
d'animo delle persone, l'impegno dei medici, la vita nei due lazzaretti. Lo Zibramontiinvece è realmente esistito e dato che ha
avuto il cattivo gusto di morire nel 1589 ho dovuto, con molto
dispiacere, separarmene a metà di un romanzo. Adoravo le sue battute, riusciva
a sdrammatizzare anche le situazioni più tese e riusciva a tenere testa anche
al duca Guglielmo, cosa non facile assicurano i contemporanei.
D: Direi che il genere è il giallo, ma più che altro si
tratta di romanzi storici particolari in cui gran parte dei personaggi e delle
vicende sono realmente esistiti e accadute. Viste le ricerche effettuate e
nonostante la taccagneria del duca Guglielmo la Mantova dell’epoca può essere
considerata un’isola felice, o comunque dove si stava meglio, rispetto ai
territori delle Signorie attigue? Se non vado errato c’erano perfino un
ospedale e un ospizio.
R: Ospedali o comunque posti in cui potevano trovare
rifugio derelitti di ogni tipo si trovavano in tutte le città, a volte erano
palazzetti riadattati, come nel caso dell'ospedale del lazzaretto di Mantova, a
volte erano invece edifici costruiti appositamente come ad esempio l'Ospedale
degli Innocenti edificato dal Brunelleschi dove venivano accolti gli
orfani. Anche a Mantova c'era un orfanotrofio "Al misericordia" posto
sotto la diretta protezione dei Gonzaga; in quell'edificio ora si trova
l'Università, e c'era anche un rifugio per le "donne perdute"che
decidevano di cambiare vita dedicato ovviamente a Maria Maddalena. Se fosse
un'isola felice non so dirlo, essendo un piccolo ducato i rapporti tra i
Gonzaga ed i sudditi erano più stretti rispetto ad altre corti e questo
li induceva ad intervenire prontamente in loro aiuto. Ricordo le lamentele di
Francesco II che dalla sua prigione di Venezia si lamentava del fatto che la
moglie, Isabella d'Este, si preoccupasse più del benessere dei mantovani che
delle sua liberazione; del resto lui l'aveva tradita con una contadina, come
darle torto? Anche Vincenzo era generoso, quando si ebbe una inondazione del
Po, fece tutto quanto era in suo potere per aiutare chi era stato danneggiato.
D: Sì, probabilmente le ridotte dimensioni del ducato
facevano sì che la vita fosse meno incerta, soprattutto in occasione di
carestie e di altre calamità naturali.
È
un trittico che mi è piaciuto molto e credo di poter dire che gli altri che
leggeranno questi tre romanzi finiranno con l’appassionarsi, come me, a questi
personaggi che destano un’immediata simpatia. Il ritmo costante, non veloce, ma
comunque non lento, l’intreccio ben congegnato, l’atmosfera dell’epoca in cui
ci si immerge, le descrizioni dei luoghi che sembrano materializzarsi davanti
agli occhi sono tutti elementi positivi che, perfettamente fusi, portano a un
rasserenante appagamento. Purtroppo, giunto al termine di Un sicario
alla corte dei Gonzaga, mi è sorto un timore: che fosse l’ultimo. Ma,
a pensarci bene, c’è una speranza che non lo sia e sta nell’ultima frase di
Marcello Donati a Biagio dell’Orso: “ C’è qualcosa che devi
vedere, qualcosa …di spaventoso.”.
Mi
pare logico che una simile conclusione lasci spazio a un seguito e di questo
gradirei avere conferma.
R:
Certo, c'è un quarto romanzo in cui i lettori ritroveranno tutti i
personaggi dei libri precedenti, compreso l'illusionista Colorni e la
sua giovane figlia che dopo averne combinate di tutti i colori vengono
costretti ad aiutare Biagio dell'Orso per evitare di essere arrestati. Anche
per Colornimi sono ispirata a un ebreo mantovano che è realmente esistito.
Il titolo che gli ho dato è L'oscura ombra della magia, ma sui
titoli io e le editrici bisticciamo sempre. Non so cosa anticipare di questo
nuovo romanzo perché è un susseguirsi di colpi di scena e non vorrei
rovinare la sorpresa, posso solo raccontare che il capitano di giustizia e il
povero Marcello Donati si ritroveranno a dover sventare una congiura
dell'oscuro ordine cavalleresco del Cigno Nero.
D:
A proposito di nomi di personaggi che risultano effettivamente esistiti, la
stessa cosa può dirsi per attività commerciali? Per esempio la “locanda
del cane che abbaia alla luna", un nome così poetico, é di sua
invenzione ?
R: La "locanda del Cane che abbaia alla luna"
era aperta sino a metà degli anni sessanta, ero a una trasmissione
televisiva per presentare "Le righe nere della vendetta"
quanto ci telefonò in diretta proprio la proprietaria che la gestiva. Tutte le
locande e le osterie che cito nei miei romanzi come Il pavone,
dove va spesso Biagio dell'Orso, la Croce Bianca, i Tre scaliniesistono
dal quattrocento se non da prima ancora, come possono testimoniare in qualche
caso gli affreschi che ancora decorano le loro pareti. A casa ho un
ingrandimento di una pianta di Mantova disegnata all'inizio del XVII
secolo, la stendo sul tavolo della cucina e quando devo scrivere
verifico il percorso che i miei personaggi avrebbero potuto fare all'epoca tra
le antiche contrade ed edifici che non esistono più, come purtroppo la spezieria alla Syrena distrutta ad una bomba durante la seconda guerra
mondiale.
Grazie per la piacevole
intervista e allora non ci resta che attendere l’uscita del quarto romanzo e,
per ingannare il tempo e non solo, il mio consiglio, questa volta rivolto a chi
legge, è di prendere in mano i precedenti tre per immergersi in un’atmosfera
unica e in una lettura particolarmente avvincente.
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