Il giudice e
il suo boia
Adelphi pubblica l’opera prima del grande romanziere e drammaturgo
svizzero, un “noir” cupo e coinvolgente
Strepitoso Durrenmatt, una partenza con il
giallo
Dicono
che il personaggio del commissario Barlach, protagonista del noir Il
giudice e il suo boia(pp.121,
euro 15), strepitosa opera prima di
Friedrich Durrennmatt,
che Adelphi – intento a
curarne l’opera omnia -, ci propone ben tradotto da Donata Berra,
possa, per alcuni versi richiamarci la figura del notissimo commissario Maigret
disimenoniana memoria.
Il raffronto regge fino ad un certo punto, perché quanto il commissario
dell’autore belga è dotato di calore umano, altrettanto nel personaggio svizzero
non abbiamo la sensazione di rilevare apertamente questo sentimento, essendo
egli più enigmatico ed introverso.
Eppure
fu lo stesso Simenon, che del genere se ne intendeva, quando lesse questo noir
cupo, implacabile e lacerante, ad affermare: ‹‹Non so che
età abbia l’autore. Se è alla sua prima prova, credo che farà strada››. E
ci prese in pieno, perché Durrenmatt(Kolonfingen 1921-Neuchatel 1990) è il maggior
romanziere svizzero del Novecento, anche drammaturgo e polemista. Teatro del
singolare giallo è la terra del bernese, regione natia dell’autore. Ed ecco che
il commissario Barlach, pacato e risoluto sessantenne, nonostante la
malattia, è chiamato ad intervenire sul mistero di un suo sottoposto,
l’ispettore Schmied,
un tenente della polizia di Berna, assassinato nell’auto ritrovata in campagna.
Con precisione elvetica, l’autore ci comunica anche la data: 3 novembre 1948. E
ci fa navigare, dall’inizio alla fine, dentro atmosfere fredde e piovose, atte
a creare un clima torbido, perfetta cornice dell’azione. Partono le indagini,
di questo giallo emblematico, presto bloccate dal potere e dalla burocrazia.
Compito di Barlach è dunque anche quello di stanare il
cancro che si annida nel sistema, contagiando la società. L’inchiesta
assomiglia ad un duello Vita/ Morte. Al commissario Barlach,
ormai prossimo al pensionamento, per seri motivi di salute, si affianca
l’assistente Tschanz.
Nel corso dell’opera, Barlach incontra Gastmann,
suo vecchio amico/nemico, sospettato daTschanz di essere il vero omicida. Per oltre
quarant’anni il commissario ha seguito le orme di questo killer seriale
nel vano tentativo di fornire le prove dei delitti via via più audaci, efferati e sacrileghi che
costui ha commesso per capriccio.
‹‹Dicevi che è da stupidi
compiere un delitto, perché non è possibile muovere gli uomini come figure su
una scacchiera. . .›› Forse proprio questa persuasione di Barlach aizzava ed aveva aizzato Grossmann nella sua perversa convinzione della
esistenza del delitto perfetto.
L’epilogo
è più che sorprendente. Addirittura sconvolgente. Si tratta di una delle opere
che meglio esprime il pensiero dell’autore che intende dimostrare
l’impossibilità per la giustizia istituzionale di arrivare alla verità, sempre
convinto dell’abisso che intercorre tra verità e giustizia umana e verità e
giustizia poliziesca.
Nel
1975 è uscito il film Assassinio sul ponte,
liberamente tratto da questo testo, scritto e diretto da Maximilian Schell.
Nel
1972 in Italia fu tratto dal romanzo uno sceneggiato televisivo, diretto da
Daniele D’Anza con
Paolo Stoppa (Barlach) e, Ugo Pagliai (Tschanz).
Grazia Giordani
Nessun commento:
Posta un commento