Il
piccolo libraio di Archangelsk – Georges
Simenon - Adelphi – Pagg. 172 – ISBN 9788845921360 - € 17,00
Il
mio primo Simenon
“Fu
un errore mentire. Se ne rese conto nel momento stesso in cui apriva bocca...”
La
vicenda prende l’avvio da una menzogna che in realtà è la diretta conseguenza
di un elemento di rottura che scardina la certezza effimera del quotidiano.
Tutto qui il nucleo narrativo di questo romanzo: un’idea alla base, le sue
dirette conseguenze nello sviluppo successivo.
L’antieroe
di turno è Jonas Milk, appassionato filatelico, ebreo di origini
russe, sbattuto dagli infelici esiti della Storia del Novecento in terra
francese e lì così ben integrato da essere riuscito a scampare ai
rastrellamenti nazisti.
Vive
in una piccola cittadina di provincia ma tutto il suo mondo gravita intorno
alla piazza del mercato cui si affaccia anche la sua libreria. La sua
quotidianità non gli appartiene, non vive una dimensione privata, il suo vivere
è – apparentemente- all’unisono con quello degli altri abitanti della piazza
che lì vivono e lì gravitano per l’allestimento del mercato. È uno spazio
aperto che si apre a infinite relazioni e la quotidianità è marcata
fortemente dalle relazioni di vicinato. Tutti si conoscono: i rumori, i gesti,
i movimenti sono avvertiti, avvertibili, conosciuti da tutti.
Jonas , libraio
quarantenne, è elemento pacifico, perfettamente inserito, integrato in tale
contesto dal quale non proviene. Paradossalmente chi invece ne rappresenta un
forte elemento di rottura è la sua giovane moglie: le è stata proposta, Gina,
benché l’abbia vista bambina giocare tra le bancarelle, ragazza perdersi in
condotte poco costumate, ferita dall’amore sbagliato per un poco di buono
finito in galera, sopravvivere all’ambiente chiuso della provincia. Gina
spesso evade da quel contesto e torna. Quando sparisce per l’ennesima
volta, Jonas mente per giustificarla e mentre lo fa commette l’errore
più grande della sua vita, già lo sa...
Il
romanzo veicola un messaggio fortemente pessimista: l’uomo è capace
di fare del gran male, al mondo non c’è spazio per la modestia, l’amore, la
tolleranza. Tutto è retto dall’ipocrisia delle relazioni e dalla loro labilità,
a niente vale la rassegnazione al proprio status, l’accettazione , la
condivisione. Vince il più forte, non necessariamente un antagonista al piccolo
antieroe, basta solo la perfidia insita nel gruppo che esclude un suo elemento
per un qualsiasi motivo, anche il più banale, anche per niente.
Il
romanzo lascia di stucco per il suo epilogo tragico, si scolpisce
prepotentemente nella memoria per il suo vinto, si impossessa del
lettore con la sua efficace ambientazione e invita, nel mio caso,
alla scoperta dell’immensa galleria di tipi umani sfornata
dall’autore, alla ricerca di smentite, conferme e in fondo di una prospettiva
di lettura della vita che mi pare veramente interessante.
Lo
stile asciutto, sobrio, diretto ben si sposa all’architettura della trama il
cui disegno è abilmente anticipato, predisponendo il lettore all’atteggiamento
attivo di ricerca, tipico del giallo, salvo poi capire che il geniale Simenon
chiude le sue storie a modo suo, lasciando al lettore il tempo di sentirsi
irretito, disgustato, sorpreso ma, incredibile, piacevolmente.
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