Dove
porta la neve
Dove
porta la neve quasi una favola «firmata» Righetto
La
trama si sviluppa sotto Natale fra dolore, amicizia e rinascita
Chi
aveva letto con piacere il toccante romanzo «Apri gli occhi» di
Matteo Righetto, nei prossimi giorni troverà in libreria «Dove
porta la neve» (Tea, pp. 147, euro 13),
per alcuni versi una favola di Natale. Gli appassionati del genere
ricorderanno come da Ch. Dickens in poi, l’argomento sia stato
variamente trattato. E in Righetto prende una allure tutta
particolare, dove il binomio profondità e delicatezza percorre la
pagina da cima a fondo.
È
la vigilia di Natale e Padova sta per essere coperta da una nevicata
memorabile, così realistica che ne sentiamo le falde cadere sui
nostri ombrelli e sui nostri cappotti. Carlo, Down , ormai
quarantottenne, come ogni mattina da parecchi mesi, va a trovare in
clinica Nora, la madre, che sta morendo lentamente, logorroica
nella sua agonia, dove racconta agli altri – in particolare alla
sensibile volontaria dll’AVO Bianca, ma soprattutto a se stessa -,
la cascata dirompente dei suoi ricordi.
«La
neve era la cosa che amavo di più al mondo – le dice – Ogni anno
aspettavo con gioia la prima neve (…) la amavo. Quando avevo tre
anni o forse quattro anni, mia madre m’insegnò che la neve non era
tutta uguale. Per noi, lassù, c’erano tanti modi per chiamare la
neve. C’era la nevera,
come si chiamava una nevicata grande e copiosa, c’era la zijena,
cioè la neve asciutta e farinosa, c’era la mola che
era la neve bagnata e pesante dell’autunno . . .».
Carlo,
il Down, affezionatissimo alla madre, descritto con pochi teneri
tratti ( quel suo ripetere infantile le ultime parole di una frase,
quel suo restar bambino, seppur autosufficiente, per forza di cose,
orfano del padre), incontra in maniera fortuita e stravagante il
settantaquattrenne Nicola, abbandonato dalla compagna, in possesso di
un’auto antidiluviana per età, addolorato di aver perso l’ultimo
lavoretto di Babbo Natale davanti ad un centro di vendite, dove
avrebbe avuto il compito, non ottemperato, di attirare clientela di
bambini ai fini commerciali.
Carlo
crede, ingenuamente, a Babbo Natale e quindi spera che Nicola abbia
il potere di far avverare il sogno di un vero regalo per la madre.
Contagiato dal suo entusiasmo, Nicola organizza un breve viaggio per
realizzare il sogno dell’uomo/bambino. La sua malandata Fiat 124 si
allontana da Padova, sotto l’imperversare della tempesta di neve e,
dentro il gelido abitacolo due uomini soli e abbastanza incoscienti
riscoprono il valore sublime di un abbraccio.
«La
gente dice sempre: “Un abbraccio, ti abbraccio”, ma poi nessuno
si abbraccia mai per davvero . . . Io vorrei vivere abbracciato!».
E
noi vorremmo più libri di questa finezza, capace di commuoverci,
senza leziosità. In epoca in cui la letteratura è cupa,
labirintica, alla ricerca di colpi di scena, il padovano Matteo
Righetto, classe 1972 sa farci sognare con intelligente semplicità.
Il
suo «La pelle dell’ orso» è diventato un film interpretato da
Marco Paolini, per la regia di Marco Segato, ed è uscito nelle sale
a novembre 2016. I suoi libri sono tradotti in inglese e francese. E
siamo certi che una luminosa carriera lo attenda con un caldo
abbraccio.
Grazia
Giordani
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