Foto da Internet
di
massimolegnani
Mentre
viaggiava veloce sulla superstrada Michele notò poco lontano, sulla
sinistra, un lago piccolo e scintillante. A tutta prima lo bollò
come un laghetto di terza categoria, oscurato com’era dalla
vicinanza di laghi ben più famosi e grandi, e pure rovinato dallo
scempio di asfalto e cemento che arrivava fino a riva. Ma poi
rallentò per osservarlo meglio, la sponda opposta sembrava
conservare piccole bellezze vergini, paesini abbarbicati a mezza
costa, pendii verdeggianti fino all’acqua, rive boscose. Un rapido
calcolo degli appuntamenti della giornata, un paio di telefonate
necessarie e l’uomo al primo svincolo abbandonò la grossa arteria
per inerpicarsi per le strade strette che salivano ai villaggi, la
pietra dei muretti al posto del cemento.
Lasciò
la macchina nella piazza del primo paese e si avventurò per le vie
solitarie, voleva raggiungere l’acqua, dalla parte giusta. Non
c’erano indicazioni per il lago né persone a cui chiedere ma
immaginò che sarebbe bastato seguire una qualunque via in discesa
nell’unica direzione logica.
Così
percorse una strada asfaltata che scendeva tra case pretenziose e un
furioso abbaiar di cani oltre i muri di cinta. Lo vide laggiù, quasi
a portata di mano, e si mise a camminare con passo più spedito preso
da una lieve frenesia. Un cancello chiuso gli sbarrò all’improvviso
la strada, non era l’ingesso di una villa, era proprio l’accesso
al lago che gli veniva impedito con tanto di cartello del sindaco che
regolamentava l’afflusso dei turisti (?) e di telecamere di
sorveglianza a dissuadere i malintenzionati. Oltre le grate una
spiaggetta tristissima, decisamente fuori posto, è
altro quello che cerco e poi siamo in autunno avanzato, che me ne
faccio della sabbia di Riccione qui in Brianza?
Tornò
sui suoi passi, gironzolò per le vie per cercare un altro accesso,
come un cane randagio che annusa l’aria cercando tracce odorose di
cibo. Vide un viottolo in terra battuta che s’inoltrava nei prati,
lo prese. Sembrava il sentiero giusto, ma a mano a mano che procedeva
il fondo divenne sempre più molle e il viottolo una traccia sempre
più esile fino a sparire del tutto, come per sfinimento, in un nulla
di fango ed erba fradicia. Il lago era lì a poche centinaia di
metri, irraggiungibile.
Di
nuovo fu costretto a tornare indietro, respinto in malo modo da una
forza invisibile che non sapeva a chi attribuire. Michele non si
arrese, vagò ostinatamente per il paese finchè scovò un vicolo
lastricato a ciottoli di fiume che si insinuava stretto come un
serpente tra vecchie case malandate. Un puzzo feroce di muffa e di
piscio quasi lo fece desistere, ma ecco che, appena finite le case,
il viottolo si aprì su scenari inaspettati illuminati dal sole:
l’oro e il fuoco di alberi maestosi che facevano corona a più
timide betulle, prati di un verde smagliante, arbusti carichi di
bacche selvatiche appese a grappolo a tralci color vinaccia. Un
ruscelletto scorreva a fianco del sentiero e ogni tanto se ne
discostava per immergersi in un piccolo bosco di castagni e faggi e
ricomparire poco più avanti, arricchito da minimi affluenti.
L’uomo
seguiva il fluire dell’acqua immaginandola come un vero fiume, di
portata ben maggiore tanto da sembrare esso stesso il creatore del
lago in cui presto sarebbe sfociato per poi uscirne e riprendere la
corsa verso il mare. Pensò al Rodano, al Ticino, all’Adda, questo
ambiente era una miniatura che replicava qualcosa di più grande, una
sorta di plastico naturale su cui, avesse avuto un figlio, poter
spiegare l’orografia e l’idrografia della regione.
Michele
ripensò alle barchette di carta costruite tanti anni prima, e con
quello spirito raccolse un pezzo di corteccia, vi mise sopra una
foglia e la posò nella corrente. Preso da un impulso per il quale
non provò la minima vergogna corse avanti fino al ponticello per
vederla passare. Aiutò più volte la barchetta a disincagliarsi
dalle sponde fino a farle raggiungere la foce. Così si ritrovò
quasi senza accorgersene in un piccolo prato che digradava fino al
lago, un angolo prezioso di mondo, lontano da ogni mondo. Si guardò
intorno, una panchina, un salice ricurvo con i piedi a bagno,
un’ampia insenatura nella linearità della costa, il silenzio
assoluto se non per il cinguettio di passeri e merli, due anatre che
sgambettavano in acqua reclamando cibo, la piccola radura chiusa alla
vista da cespugli e alberi, il ruscello che proprio in punto di morte
aveva acquistato una minima solennità slargandosi quieto nel lago.
Ogni dettaglio era perfetto. Si sedette a braccia spalancate, lo
sguardo che vagava trovando ovunque pace, la mente sgombra eppure
densa di pensieri lenti come sogni,
sono sceso fino al paradiso, il paradiso è in terra e in basso.
Si
sentiva in una magica sintonia con l’ambiente e si chiese chi mai
avrebbe potuto condividere la sua emozione senza riderne. Un breve
vaglio e gli tornò in mente lei. La risucchiò da un tempo lontano
fino a sentirla al suo fianco, immutata, fuori dal tempo ma dentro lo
spazio, questo suo spazio ristretto. Piegò la testa verso destra e
gli sembrò di vederla seduta lì, sorridente e incantata, lui stesso
sorrise scostandole i capelli dal viso. Non aveva dubbi, solo lei era
capace di entusiasmarsi con la medesima schiettezza ai giochi
infantili e a quelli adulti, la vide inseguire festosa la barchetta
di corteccia, schiudere i ricci di castagna a cercarne uno che fosse
pari, immaginò come reali le sue domande da bambina, sono
velenose queste bacche? e le
sue richieste più indecenti, la
candida determinazione con cui si era accovacciata, la spontanea
complicità dei loro gesti, lui le accarezzava la fronte, lei alzava
lo sguardo a incontrare i suoi occhi.
I
grappoli violacei invitavano al gioco, Michele prese qualche bacca
tra le dita e la schiacciò a farne uscire il succo color del vino.
Con l’indice impiastricciato fece nell’aria dei gesti ampi e
delicati, le stava pitturando i seni, lei non una parola di
riprovazione, teneva scostati i lembi della camicia per non sporcarla
e lasciava che il suo bambino giocasse con le piccole mele. C’era
una parola che lei gli diceva spesso,
monello,
la sentiva anche ora, pronunciata in un soffio di
complicità. Monello,
ripetè Michele, ed era la voce di lei che si spargeva nell’aria.
Chiuse gli occhi e si concentrò sul pensiero di lei fino a
materializzarlo.
Lei
si alzò e lo fissò limpida negli occhi, qui,
oggi, ogni cosa è giusta. Si
piegò in avanti afferrandosi con le mani allo schienale della
panchina e lo attese serena, perchè aveva questa prerogativa
dell’accoglienza che lo stordiva ogni volta. Entrambi si guardarono
intorno, non per timore che sopraggiungesse qualcuno ma per fondersi
con la natura circostante, loro erano erba, betulle, ruscello, lago,
e nulla era sconveniente nell’incastro dei corpi, nell’affanno
ritmato, nell’onda che montava sempre più alta, nei baci e nei
morsi.
L’uomo
le baciò la nuca, lei gli regalò un sorriso che lui non poteva
vedere.
Un
silenzio pacifico, Michele fissava un punto impreciso del lago
assaporando il nulla che era appena successo. Il trillo del cellulare
lo distolse dai pensieri, rispose a voce ferma. Buongiorno
ingegnere. Sì, come le ho già detto stamattina, ho avuto un
imprevisto con l’auto, ma ora è tutto risolto. Tra un’ora sono
da lei. A più tardi.
Michele
si alzò e a malincuore disse andiamo.
Sembrava si rivolgesse a lei, la vedeva ancora lì. E in effetti in
qualche modo c’era, perché ora che l’aveva ritrovata non
l’avrebbe più persa. Di questo era certo e s’incamminò con un
sorriso per ritornare al mondo.
Chissà se scrittori si nasce o si diventa, forse si nasce con questo dono e poi magari si migliora. Non so perché mi venga da fare questa riflessione, so che questo racconto a me è sembrato veramente bello, bello forse anche più di altri racconti che ho letto, su questo blog, dello stesso bravo autore. La suggestiva e avvolgente descrizione del paesaggio, la ricerca in qualche modo di un se stesso che ritorna bambino, il ricordo così bello e sensuale di una donna amata, e poi...il ritorno, necessario, alla quotidianità. Con una promessa, però, che il protagonista cercherà di mantenere.
RispondiEliminaGrazie all'autore e a te, Renzo.
Piera