giovedì 6 aprile 2017

Tre sentieri per il lago, di massimolegnani


                                                     Foto da Internet

Tre sentieri per il lago
di massimolegnani




Mentre viaggiava veloce sulla superstrada Michele notò poco lontano, sulla sinistra, un lago piccolo e scintillante. A tutta prima lo bollò come un laghetto di terza categoria, oscurato com’era dalla vicinanza di laghi ben più famosi e grandi, e pure rovinato dallo scempio di asfalto e cemento che arrivava fino a riva. Ma poi rallentò per osservarlo meglio, la sponda opposta sembrava conservare piccole bellezze vergini, paesini abbarbicati a mezza costa, pendii verdeggianti fino all’acqua, rive boscose. Un rapido calcolo degli appuntamenti della giornata, un paio di telefonate necessarie e l’uomo al primo svincolo abbandonò la grossa arteria per inerpicarsi per le strade strette che salivano ai villaggi, la pietra dei muretti al posto del cemento.
Lasciò la macchina nella piazza del primo paese e si avventurò per le vie solitarie, voleva raggiungere l’acqua, dalla parte giusta. Non c’erano indicazioni per il lago né persone a cui chiedere ma immaginò che sarebbe bastato seguire una qualunque via in discesa nell’unica direzione logica.
Così percorse una strada asfaltata che scendeva tra case pretenziose e un furioso abbaiar di cani oltre i muri di cinta. Lo vide laggiù, quasi a portata di mano, e si mise a camminare con passo più spedito preso da una lieve frenesia. Un cancello chiuso gli sbarrò all’improvviso la strada, non era l’ingesso di una villa, era proprio l’accesso al lago che gli veniva impedito con tanto di cartello del sindaco che regolamentava l’afflusso dei turisti (?) e di telecamere di sorveglianza a dissuadere i malintenzionati. Oltre le grate una spiaggetta tristissima, decisamente fuori posto, è altro quello che cerco e poi siamo in autunno avanzato, che me ne faccio della sabbia di Riccione qui in Brianza?
Tornò sui suoi passi, gironzolò per le vie per cercare un altro accesso, come un cane randagio che annusa l’aria cercando tracce odorose di cibo. Vide un viottolo in terra battuta che s’inoltrava nei prati, lo prese. Sembrava il sentiero giusto, ma a mano a mano che procedeva il fondo divenne sempre più molle e il viottolo una traccia sempre più esile fino a sparire del tutto, come per sfinimento, in un nulla di fango ed erba fradicia. Il lago era lì a poche centinaia di metri, irraggiungibile.
Di nuovo fu costretto a tornare indietro, respinto in malo modo da una forza invisibile che non sapeva a chi attribuire. Michele non si arrese, vagò ostinatamente per il paese finchè scovò un vicolo lastricato a ciottoli di fiume che si insinuava stretto come un serpente tra vecchie case malandate. Un puzzo feroce di muffa e di piscio quasi lo fece desistere, ma ecco che, appena finite le case, il viottolo si aprì su scenari inaspettati illuminati dal sole: l’oro e il fuoco di alberi maestosi che facevano corona a più timide betulle, prati di un verde smagliante, arbusti carichi di bacche selvatiche appese a grappolo a tralci color vinaccia. Un ruscelletto scorreva a fianco del sentiero e ogni tanto se ne discostava per immergersi in un piccolo bosco di castagni e faggi e ricomparire poco più avanti, arricchito da minimi affluenti.
L’uomo seguiva il fluire dell’acqua immaginandola come un vero fiume, di portata ben maggiore tanto da sembrare esso stesso il creatore del lago in cui presto sarebbe sfociato per poi uscirne e riprendere la corsa verso il mare. Pensò al Rodano, al Ticino, all’Adda, questo ambiente era una miniatura che replicava qualcosa di più grande, una sorta di plastico naturale su cui, avesse avuto un figlio, poter spiegare l’orografia e l’idrografia della regione.
Michele ripensò alle barchette di carta costruite tanti anni prima, e con quello spirito raccolse un pezzo di corteccia, vi mise sopra una foglia e la posò nella corrente. Preso da un impulso per il quale non provò la minima vergogna corse avanti fino al ponticello per vederla passare. Aiutò più volte la barchetta a disincagliarsi dalle sponde fino a farle raggiungere la foce. Così si ritrovò quasi senza accorgersene in un piccolo prato che digradava fino al lago, un angolo prezioso di mondo, lontano da ogni mondo. Si guardò intorno, una panchina, un salice ricurvo con i piedi a bagno, un’ampia insenatura nella linearità della costa, il silenzio assoluto se non per il cinguettio di passeri e merli, due anatre che sgambettavano in acqua reclamando cibo, la piccola radura chiusa alla vista da cespugli e alberi, il ruscello che proprio in punto di morte aveva acquistato una minima solennità slargandosi quieto nel lago. Ogni dettaglio era perfetto. Si sedette a braccia spalancate, lo sguardo che vagava trovando ovunque pace, la mente sgombra eppure densa di pensieri lenti come sogni, sono sceso fino al paradiso, il paradiso è in terra e in basso.
Si sentiva in una magica sintonia con l’ambiente e si chiese chi mai avrebbe potuto condividere la sua emozione senza riderne. Un breve vaglio e gli tornò in mente lei. La risucchiò da un tempo lontano fino a sentirla al suo fianco, immutata, fuori dal tempo ma dentro lo spazio, questo suo spazio ristretto. Piegò la testa verso destra e gli sembrò di vederla seduta lì, sorridente e incantata, lui stesso sorrise scostandole i capelli dal viso. Non aveva dubbi, solo lei era capace di entusiasmarsi con la medesima schiettezza ai giochi infantili e a quelli adulti, la vide inseguire festosa la barchetta di corteccia, schiudere i ricci di castagna a cercarne uno che fosse pari, immaginò come reali le sue domande da bambina, sono velenose queste bacche? e le sue richieste più indecenti, la candida determinazione con cui si era accovacciata, la spontanea complicità dei loro gesti, lui le accarezzava la fronte, lei alzava lo sguardo a incontrare i suoi occhi.
I grappoli violacei invitavano al gioco, Michele prese qualche bacca tra le dita e la schiacciò a farne uscire il succo color del vino. Con l’indice impiastricciato fece nell’aria dei gesti ampi e delicati, le stava pitturando i seni, lei non una parola di riprovazione, teneva scostati i lembi della camicia per non sporcarla e lasciava che il suo bambino giocasse con le piccole mele. C’era una parola che lei gli diceva spesso, monello, la sentiva anche ora, pronunciata in un soffio di complicità. Monello, ripetè Michele, ed era la voce di lei che si spargeva nell’aria. Chiuse gli occhi e si concentrò sul pensiero di lei fino a materializzarlo.
Lei si alzò e lo fissò limpida negli occhi, qui, oggi, ogni cosa è giusta. Si piegò in avanti afferrandosi con le mani allo schienale della panchina e lo attese serena, perchè aveva questa prerogativa dell’accoglienza che lo stordiva ogni volta. Entrambi si guardarono intorno, non per timore che sopraggiungesse qualcuno ma per fondersi con la natura circostante, loro erano erba, betulle, ruscello, lago, e nulla era sconveniente nell’incastro dei corpi, nell’affanno ritmato, nell’onda che montava sempre più alta, nei baci e nei morsi.
L’uomo le baciò la nuca, lei gli regalò un sorriso che lui non poteva vedere.
Un silenzio pacifico, Michele fissava un punto impreciso del lago assaporando il nulla che era appena successo. Il trillo del cellulare lo distolse dai pensieri, rispose a voce ferma. Buongiorno ingegnere. Sì, come le ho già detto stamattina, ho avuto un imprevisto con l’auto, ma ora è tutto risolto. Tra un’ora sono da lei. A più tardi.
Michele si alzò e a malincuore disse andiamo. Sembrava si rivolgesse a lei, la vedeva ancora lì. E in effetti in qualche modo c’era, perché ora che l’aveva ritrovata non l’avrebbe più persa. Di questo era certo e s’incamminò con un sorriso per ritornare al mondo.


1 commento:

  1. Chissà se scrittori si nasce o si diventa, forse si nasce con questo dono e poi magari si migliora. Non so perché mi venga da fare questa riflessione, so che questo racconto a me è sembrato veramente bello, bello forse anche più di altri racconti che ho letto, su questo blog, dello stesso bravo autore. La suggestiva e avvolgente descrizione del paesaggio, la ricerca in qualche modo di un se stesso che ritorna bambino, il ricordo così bello e sensuale di una donna amata, e poi...il ritorno, necessario, alla quotidianità. Con una promessa, però, che il protagonista cercherà di mantenere.
    Grazie all'autore e a te, Renzo.
    Piera

    RispondiElimina