mercoledì 30 aprile 2014

Primo maggio 2014




 1° maggio 1947
di Natàlia Castaldi

Portella della Ginestra
sento il dovere morale
di cantare oggi
Il sangue che macchiò
Le tue brulle pietre,
sangue innocente
di giovani padri contadini
uomini normali e callose mani,
donne senza belletti e due bambini:
In tutto undici
vittime innocenti che il primo maggio
s’eran riunite a festeggiare
nel giorno dedicato a chi conosce
dignità nella fatica
la vittoria contadina del “Blocco Popolare”.

Con muli, zappe e parole
inseguendo un ideale di ateo cristianesimo
che d’antiche radici,
 più volte estirpate e soppresse,
da Chicago a Parigi
avea natali,
di otto ore di lavoro
per diritto e dignitoso fardello
a rivendicar e festeggiar conquistato
diritto e sventolar rosse bandiere
s’eran dati appuntamento.

Povera gente,
-         ché dirigenti di partito
non se ne videro! -
terre e poteri già arsi dal sole,
per giustizia sociale,
volèan strappare
a baroni e potenti,
che ignoranza del volgo
e povertà seminavano
a feudalesimo e sopruso.

Vertici in tacito consenso
di Stato e Chiesa
e democratica elargizione pecuniaria
dell’America alleata
ad armar Giuliano
non ebber pudore né alcun ripensamento:
Portella della Ginestra,
ennesimo primo maggio di sangue e dolore,
ché non cessi nella memoria
di quest’Italia Repubblicana
la data del suo primo politico scempio.




Splendeva il sole
di Piero Colonna Romano


In quella piana di rosso garrivano
bandiere al vento e contadini canti,
nell'aria tersa si diffondevano
dell'Internazional note festanti.

Collina di  ginestre colorata,
famiglie unite in quel gioioso maggio,
appuntamento là sulla spianata
per rendere al lavoro giusto omaggio.

Da un uomo su di un palco la lezione
diceva di vittoria e di diritti ,
diritti su quei campi e all'istruzione
e con la schiena stando sempre dritti.

Un secco crepitio fu all'improvviso
e nel suo inizio parve di petardi
ma seminò la morte su ogni viso,
sparavan dall'altura dei codardi.

Così Giuliano con  i suoi sicari,
al soldo  di quel Scelba e di Messana,
compì la volontà di quegli agrari
per cancellare la sconfitta insana.

Fu quella nella storia del Paese
la prima strage nata da simbiosi,
un correo abbraccio che tuttora pesa,
tra loschi governanti con mafiosi.






Il quarto stato
di Renzo Montagnoli

A Giuseppe Pelizza da Volpedo (1868 – 1907)

Insieme, uomini liberi, la fronte al vento.

E’ una marcia ritmata dai passi sicuri

Di chi più non ignora la verità.

Uguali nascemmo e uguali sempre saremo.

Ovunque c’è terra, ovunque splende il sole,

Mai più oppressione, mai più dolore.

Il mondo è di tutti e non di pochi,

La ricchezza è il procedere uniti,

E’ percorrere questa strada verso la vita.







La forza della verità
                             di Renzo Montagnoli

E’ la notte del 23 agosto 1927. Nel penitenziario di Charlestown (Massachussets) una violenta scarica elettrica pone fine alle 0,19 alla vita di Nicola Sacco e sette minuti più tardi è la volta di Bartolomeo Vanzetti. Due italiani, immigrati, lavoratori, anarchici, ma soprattutto innocenti sono stati immolati alla ragion di stato.

Mai vivendo l’intera esistenza avremmo potuto sperare di fare così tanto per la tolleranza, la giustizia, la mutua comprensione fra gli uomini…Il fatto che ci tolgano la vita, la vita di un buon operario e di un povero venditore ambulante di pesce…è tutto! Questo momento è nostro quest’agonia è la nostra vittoria!
Così, nel corso del processo, Bartolomeo Vanzetti si era rivolto alla pubblica accusa. La voce era ferma, frutto di una rassegnata consapevolezza che è presente solo nell’innocente animato da nobili ideali.

E’ passato tanto tempo e alle attuali generazioni i nomi di Sacco e Vanzett idicono poco, al più qualcuno si azzarda a buttare lì un “mi pare di aver sentito che erano rivoluzionari”. La memoria degli eventi trascorsi va sempre più riducendosi , ma ci sono fatti di una portata tale che non possono essere dimenticati, soprattutto quando le parole libertà e democrazia diventano pura e inutile retorica.


“ L’essere innocenti di ciò che ci accusano e poterlo gridare al mondo è la nostra forza per affrontare con serenità il martirio.”

Dei due immigrati italiani, Bartolomeo Vanzetti è il più erudito, è quello che già da giovanissimo, andato per lavoro a Torino, si accosta ai primi movimenti socialisti. In lui poi prevale una visione dell’umanità senza prevaricazioni, senza accumuli di proprietà; avversa poi uno stato che vive sui suoi cittadini e non per i suoi cittadini. Il passaggio quindi all’anarchia avviene in via del tutto naturale, frutto di esperienze e di osservazioni.
Emigrato negli Stati Uniti, durante la fuga in Messico per evitare di essere arrestato quale obiettore di coscienza, conosce un immigrato pugliese, Nicola Sacco, presente per lo stesso motivo. I due, frequentandosi, scoprono di essere iscritti allo stesso circolo anarchico e così diventano amici, legame che li unirà anche ritornati negli Stati Uniti e fino alla loro tragica fine.

Il 5 maggio del 1920 vengono fermati su un tram e, tradotti in carcere, sono accusati di aver rapinato il 15 aprile il calzaturificio “Slater and Morrill”, uccidendo a colpi di pistola il cassiere e una guardia giurata.
Professano subito la loro innocenza, indicano i testimoni a discaricano che possono fornire loro un alibi ineccepibile, ma è tutto inutile, perfino la confessione del vero colpevole.
Lo stato, quando vive sui suoi cittadini, ha bisogno di dimostrare loro la sua solidità, la sua capacità di proteggerli dai pericoli che sono frutto della sua struttura. Guai a chi osa mettere in dubbio la sua validità, guai agli anarchici che ne contestano la liceità dell’esistenza, e allora si deve colpire, si deve dimostrare a tutti che nulla è più forte dello stato, nemmeno la verità.
Sacco e Vanzetti non sono altro che due capri espiatori e le menti meno intorpidite lo comprendono e si danno da fare con azioni legali, campagne stampa, comitati, manifestazioni popolari, negli Stati Uniti e in Europa.


“ Siamo solo due uomini e mai avremmo pensato con le nostre idee di smuovere così tanta umanità. La gente capisce che il nostro reato è di essere innocenti, pensando da uomini liberi.”


E’ un processo di stato, una macchina inesorabile che non può e non deve perdere colpi, anche di fronte all’evidenza dei fatti, è una democrazia fittizia che si basa su un concetto limitato di libertà, al servizio di pochi e al danno di molti.
Del resto non sono passati molti anni da quell’8 marzo 1908, quando alle operaie in sciopero dell’industria tessile Cotton di New York fu riservato un trattamento del tutto particolare: sbarrate le porte della fabbrica con dentro le maestranze, lo stabilimento venne dato alle fiamme e nel rogo perirono 129 donne.

“ Chiedemmo una vita più umana
e ci venne data un’orribile morte.
 Sognammo un mondo migliore
e lo trovammo solo nell’aldilà.”

Non c’è da meravigliarsi di questi fatti in una nazione che si è proclamata culla della democrazia e della libertà, ma che ha sistematicamente eliminato tutti coloro che, non beneficiando di questi valori, avevano osato alzare la testa: dagli eccidi degli indiani al rogo di New York, dalla guerra di Cuba all’omicidio di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti.
Quando lo stato non rappresenta tutti i cittadini, ma solo alcuni, quando gli interessi di parte sono il fine di una nazione, la democrazia e la libertà non esistono, e allora, nel loro nome, si commettono gli orrori più incredibili.

Scrive Bartolomeo Vanzetti alla sorella prima di morire:
Tu non puoi capire quanto io soffra di vederti assistere alla mia agonia e di vederti costretta a vivere le sofferenze che io devo affrontare. Quando ti sarai riposata e quando avrai ritrovata la forza necessaria, ritorna in Italia, presso i nostri cari. A questi cari, come ai nostri buoni e fedeli amici, tu porterai il mio messaggio di amore e di riconoscenza. Che importa se nessun raggio di sole, se nessun lembo di cielo penetra mai nelle prigioni costruite dagli uomini per gli uomini? Io so che non ho sofferto invano. Ecco perché porto la mia croce senza rimpianto.
Presto i fratelli non si batteranno con i loro fratelli; i bimbi non saranno più privati del sole e allontanati dai campi verdeggianti; non è più lontano il giorno nel quale vi sarà un pane per ogni bocca, un tetto per ogni testa, della felicità per ogni cuore. E questo sarà il trionfo della vostra azione e della mia, o miei compagni ed amici".

E’ una lettera struggente, in cui l’umanità dell’uomo Vanzetti stride evidentemente con il ritratto della pubblica accusa del criminale Vanzetti.

In Italia il duce fa mettere tutto sotto silenzio, perché è lui lo stato; anzi si fanno circolare voci sulla colpevolezza degli imputati, in modo da creare quell’isolamento indispensabile affinché non si arrivi a scoprire la verità.

Questa notte lasceremo la vita per entrare nell’eternità.”

Ci vollero anni, battaglie di gente coraggiosa per riabilitare la memoria delle due vittime, ma infine nel 1977 Michael Dukakis, governatore dello Stato del Massachusetts, scagionò con un proclama e per non aver commesso il fatto Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, ammettendo di fatto la responsabilità della giustizia americana.

In Italia erano iniziati gli anni di piombo, quelli degli omicidi individuali e delle stragi. Di quel periodo sappiamo solo dei morti, ma non ci è dato ancora di sapere chi fossero effettivamente gli esecutori e soprattutto i mandanti. Il tutto è secretato e la ragion di stato è di nuovo imperante.

Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, se ci vedono, scuotono la testa e scrivono con le nuvolette del cielo la parola libertà.


Nota: Le frasi in corsivo in verde furono quelle pronunciate o scritte effettivamente da Bartolomeo Vanzetti; le altre in corsivo in nero sono libere elaborazioni dell’autore come la poesia delle operaie della filanda.




Here’s to you cantata dalla voce splendida di Joan Baez





2 commenti:

  1. Non conoscevo il fatto avvenuto nella località "Portella della Ginestra", egregiamente descritto e ricordato da N. Castaldi. Lo stesso terribile avvenimento viene ricordato nella seconda poesia da P. Colonna Romano con versi molto belli e armoniosi grazie anche all'uso della rima. Il terzo testo è un bell'omaggio allo straordinario dipinto di G. Pelizza da Volpedo. Tutte e tre le poesie denunciano l'ingiustizia sociale, le enormi differenze tra gli uomini, l'arroganza di chi ha troppo, i loschi e pericolosi giochi di potere. Infine, nel testo in prosa, la storia tragica di due "belle" persone, accusate ingiustamente e condannate a morte, in quella stessa America falsamente democratica dove i diritti dei ricchi sono ben diversi da quelli della povera gente.
    Un bel testo che evidenzia la nobiltà d'animo e il coraggio di due innocenti, convinti che i veri valori, quelli in cui credevano, potessero essere condivisi da tanti.
    Una storia che rischia di finire, come tante altre, nel dimenticatoio, per questo è giusto continuare a parlarne e a scriverne.
    Piera

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  2. Mi ha colpito questa commemorazione, in cui è presente un grande omaggio alla dignità umana. Dalle due poesie che parlano della orrenda strage di Portella della Ginestra a quella in cui, ispirandosi al famoso quadro di Pelizza da Volpedo, invita a rivedere il senso della vita. Questre poesie sono tutte veramente indovinate e belle.
    Il racconto emoziona dalla prima all'ultima riga, consapevole che é stato tutto vero e che due uomini che lottavano per la dignità di ogni essere umano sono stati giustiziati dal più bieco capitalismo. Ci sono passi che fanno venire la pelle d'oca, ma soprattutto, Sig,. Montagnoli, ha saputo raccontarci una storia vera con passione e con pietà.

    Agnese Addari

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