Le guerre del Duce
di
Denis Mack Smith
Edizioni
Mondadori
Saggistica
storica
Pagg.
385
ISBN 9788804432296
Prezzo € 11,50
L’uomo della (im)provvidenza
È fuor di dubbio che l’assoluto protagonista del
famoso ventennio, e cioè Benito Mussolini, sia personaggio meritevole di
attenti studi e di ricerche storiche, se non altro per il fatto che nella
nostra ancora giovane Italia mai c’era stato (e la speranza è che non ne
vengano altri) un personaggio dalle così marcate caratteristiche da costituire
quasi ununicum, nel bene e soprattutto nel male. Così di pubblicazioni
su di lui e sul fascismo ce ne sono a bizzeffe, tanto che è il caso ormai di
dire che si è arrivati a conoscere pressoché quasi tutto. Questo saggio del
noto storico Denis Mack Smith
si limita, e si fa per dire, alle guerre intraprese da Mussolini, che per
natura, egocentrico come era, fu un guerrafondaio, pur di tanto in tanto
atteggiandosi a pacifista. Nel dire che Mussolini fu il fascismo e il fascismo
fu Mussolini si delinea apertamente la caratura e le vesti di quest’uomo, alla
continua ricerca di un appagamento personale che non riusciva mai a
raggiungere. Di certo non aveva le idee chiare: prima socialista e anti
interventista, di colpo sostenne l’entrata in guerra dell’Italia nel 1915 e poi
fu lesto a cavalcare il malcontento popolare della cosiddetta vittoria mutilata
e della effervescenzaprerivoluzionaria del dopoguerra per impadronirsi del potere e diventare, di fatto, dal
1925 il padrone assoluto del paese. Occorre riconoscergli una grande capacità,
derivante dall’esperienza quale direttore del quotidiano socialista L’Avanti,
vale a dire l’abilità, non comune, di fare propaganda, facendo passare per vere
notizie false e per false quelle vere. Non è che l’Italia, grazie alla sua
presenza al governo, avesse migliorato la sua condizione economica e sociale,
ma, in forza della dittatura e delle sue invenzioni, vere e proprie menzogne,
se il popolo non aveva di che rallegrarsi del modesto reddito e della diffusa
disoccupazione, però poteva almeno sperare in un miglioramento della
situazione. Veniva detto che l’Italia era un paese egemone, ben organizzato,
con i treni puntuali, la gente fiera e orgogliosa di discendere dagli antichi
romani, tutte menzogne che avevano un certo successo in una plebe indottrinata
già a scuola e in un mondo di fatto chiuso all’esterno. Un altro millantato
punto di forza era l’onestà dei gerarchi fascisti, ma non rispondeva a verità,
poiché questi erano dei macroscopici corrotti e Mussolini lasciava fare, ma
tramite la polizia segreta si documentava sulle malefatte onde renderli
ricattabili. Come è possibile comprendere al fascismo e al suo capo nulla
importava degli italiani, se non la loro sottomissione ottenuta con un’abile
propaganda. Mussolini diventò così un mito, alimentato da lui stesso, con
promesse roboanti, puntualmente disattese, tanto che è possibile dire che, al
contrario di quanto proclamato, non era il fascismo al servizio degli italiani,
bensì erano questi che con il tacito consenso potevano mantenere in vita questo
grottesco teatrino. A forza di
raccontar menzogne, purtroppo, il duce finì con ritenerle verità e qui iniziò
una parabola discendente - che ci sarebbe stata in ogni caso, perché la
situazione economica, già non soddisfacente, andava peggiorando - che condusse
il dittatore a un delirio di onnipotenza tale da fargli credere che sarebbero
state sufficienti solo le sue minacce di espansione per ottenere nuovi
territori. In ciò si sentì confortato dai successi della guerra d’Etiopia, di
quella di Spagna e di quella d’Albania, vittorie osannate come gigantesche e
che invece si ottennero per il rotto della cuffia ed evidenziarono la grave
impreparazione militare del nostro esercito, carente di mezzi e di uomini
addestrati. Per avere ragione degli Etiopici si dovette ricorrere ai
bombardamenti aerei indiscriminati e all’uso dei gas asfissianti, metodi
entrambi caldeggiati da Mussolini, con un comportamento criminale che fu sempre
una sua caratteristica; nel caso della guerra civile spagnola, i volontari
fascisti (camicie nere e migliaia di disoccupati arruolatisi per sfuggire alla
fame) furono clamorosamente battuti da un esercito irregolare a Guadalajara, il
che convinse Mussolini a impegnarsi ulteriormente con uomini e armi,
dissanguando di fatto le riserve valutarie nazionali; per l’Albania ci fu
un’invasione da operetta senza spargimento di sangue, giacchè gli albanesi non avevano un esercito. Secondo lo stile
propagandistico fascista queste furono considerate vittorie superiori a quelle
conseguite dai più grandi generali della storia e il merito era da attribuirsi
solo e unicamente al Duce. Il bello è che Mussolini credette davvero di essere un condottiero, tanto che, oltre ad
accentrare presso di sé il ministero degli esteri, si prese anche quello della
Guerra e quello dell’Aeronautica. In questi campi basilari era niente di più di
un dilettante e quel che è peggio, a parte la politica estera fatta di un tira
e molla che lo screditò non solo di fronte agli inglesi e francesi, ma anche ai
tedeschi, ben consapevole delle difficoltà delle nostre Armi non fece nulla per
avviare una razionale politica produttiva di ordine bellico, pur vantando di
continuo l’inizio di una grande guerra, con cui il nostro paese avrebbe avuto
il dominio assoluto del Mediterraneo e l’espansione verso est nei Balcani. Si
potrebbe dire che giocava d’azzardo, ma, purtroppo, non aveva l’asso nella
manica, anzi aveva l’Asse, il trattato di reciproco aiuto con la Germania
nazista che arrivò a sottoscrivere senza leggerlo con dovuta attenzione e solo
in seguito si accorse delle clausole capestro che conteneva. In continua
altalena fra scendere in campo con i tedeschi, o restare neutrale, oppure
addirittura affiancarsi agli inglesi e francesi, ma desideroso di nuovo bottino
da spartire al tavolo della pace grazie a qualche migliaio di morti, finì per
credere nella guerra e nella vittoria lampo del Reich, attaccando la Francia
che aveva già chiesto l’armistizio (un comportamento da autentico vigliacco) e
buon per lui che l’atto di cessazione delle ostilità fu firmato alla svelta,
perché altrimenti il nostro esercito avrebbe subito una catastrofica batosta
sulle Alpi. Non pago di questo, pensò bene di attaccare la Grecia, che aveva un
modestissimo esercito; dovettero intervenire i tedeschi per scongiurare la
disfatta, così come le truppe del Reich accorsero alla svelta in Libia dove
solo 30.000 soldati inglesi travolsero la nostra armata che contava effettivi
cinque volte superiori. In un crescendo wagneriano impegnò truppe in Russia,
con gli esiti che sappiamo, e
nei Balcani dove si operò un’attività di polizia (e di pulizia etnica) con
gravi atrocità (al riguardo, la mortalità nei campi di concentramento italiani
era in linea con quelli nazisti di Dachau e Bergen-Belsen). Poi fu tutto un precipitare, con la fine che si meritava, del resto
secondo una frase che aveva coniato e di cui andava fiero: se avanzo seguitemi, se indietreggio uccidetemi. A conti fatti di lui si può ricordare – ammesso di
considerarla una caratteristica positiva – l’abilità nel creare il suo mito, di
cui poi divenne succube; per il resto era un incapace, cattivo e crudele, che
amava circondarsi solo di uomini mediocri perché questi gli davano sempre
ragione. In concreto era una mente gravemente disturbata, uno che si
sopravvalutava, perennemente alla ricerca di qualcosa che lo vedesse
protagonista. Dell’Italia e degli italiani non gli importava un fico secco e
l’atto forse peggiore della sua vita fu quello di accettate la guida della
Repubblica fantoccio di Salò, evento che determinò l’inizio di una sanguinosa
guerra civile. Quindi aveva ragione Churchill quando diceva che era meglio avere l’Italia come nemico piuttosto che
come alleato, e infatti fu una palla al piede per la Germania.
La capacità di Denis Mack Smith di parlare di tutto questo in modo semplice e avvincente è
veramente fuor del comune; il libro non stanca mai e vi si respira, pur da ex
nemico, un invidiabile spirito di imparzialità. Le successioni degli eventi
sono scandite senza intoppi e posso dire che si ha una concreta visione delle
guerre del duce e non solo, perché quel che più conta, l’analisi psicologica di
Mussolini è veramente approfondita. Non mancano poi pagine zeppe delle
indispensabili fonti, così che questo è un saggio di primaria importanza, uno
di quei volumi che non dovrebbero mai mancare nelle biblioteche personali e
scolastiche, onde, comprendendo il passato, evitare il suo ripetersi in futuro.
Denis Mack Smith (Londra,
3 marzo 1920) è lo storico inglese più noto nel nostro Paese e ha scritto libri
relativi alla storia italiana dal risorgimento in poi.
Renzo Montagnoli
Ho letto la recensione con grande attenzione a con altrettanta amarezza. A distanza di tempo dagli avvenimenti presi in esame, provo ancora un immenso fastidio, una sorta di nausea ogni volta che mi accingo a leggere qualcosa su Mussolini. Mi indigna ogni atto della sua vita, e mi indigna il fatto che così tanta gente si sia lasciata ingannare con facilità, lo abbia seguito e idolatrato, e che ancora oggi ci siano persone che possano avere parole di stima nei suoi confronti.
RispondiEliminaRiguardo al saggio, dalla tua bella recensione si comprende il valore del libro preso in esame, l'autore, non essendo italiano, ha avuto forse delle possibilità in più per giudicare con obiettività la vita di un uomo, secondo me, di una mediocrità assoluta.
Grazie.
Piera