I Savoia, re d’Italia
di
Denis Mack Smith
BUR
Biblioteca Universale Rizzoli
Saggistica
storica
Pagg.
576
ISBN 9788817115674
Prezzo € 10,41
Fecero e disfecero l’Italia
Come sua abitudine Denis Mack Smoth ha scritto un saggio storico sui Savoia re d’Italia
con la ben nota imparzialità e logica stringente che gli sono proprie. Certo,
questi personaggi coronati non sono sconosciuti, ma il conoscerli meglio, per
quel che effettivamente furono, è il grande pregio di questo libro. La dinastia
dei Savoia, forse quella più duratura in Europa, ne emerge in modo chiaro,
limpido, senza reticenze, per quel che rappresentò per il nostro paese, nel
bene, ma soprattutto nel male. Regnò sull’Italia dal 1861 al 1946, allorchè Umberto II abdicò sulla base del referendum a lui
avverso fra monarchia e repubblica, tenutosi il il 2 giugno dello stesso anno. In tutto si è trattato di
quattro re nell’arco di nemmeno un secolo, monarchi che mai diedero prova di
voler regnare per il bene comune degli italiani, condizionati da una mentalità
feudale che li faceva ritenere superiori a tutti e non censurabili. Di ognuno
Smith ci fornisce un quadro esauriente, parlando di quanto hanno fatto, quasi
sempre sbagliando, e di quanto non hanno fatto e che invece avrebbe dovuto
essere realizzato. Il giudizio è impietoso e può anche stupire alla luce del
fatto che l’autore è nato e vive in uno stato monarchico, ma dove il re ha più
una funzione rappresentativa che politica, ed è il primo a riconoscere
l’inviolabilità della democrazia, con tutti i suoi diritti e doveri, validi
anche per lui e non limitati ai suoi concittadini. Già la dinastia dei Savoia avrebbe potuto perdere il
trono nel corso della prima guerra mondiale, dopo il disastro di Caporetto, ma
si preferì, soprattutto da parte degli alleati, mantenerla in vita onde evitare
di aggiungere a uno sconquasso militare una profonda crisi istituzionale.
E pensare che tutto era cominciato nel migliore dei modi, con Vittorio
Emanuele II re d’Italia, ma già allora si poteva notare come il comportamento
del monarca fosse inferiore alle aspettative e inadeguato ai problemi di uno
stato appena nato. Rozzo, per certi aspetti volgare, ostile nei confronti dei
politici prese l’abitudine, come i suoi successori, di tenere i piedi in due
scarpe, con un indirizzo ufficiale di politica estera diramato agli
ambasciatori in aperto contrasto con certe sue manovre sotterranee, di cui i
nostri rappresentanti all’estero non erano a conoscenza, con frequenti casi di gaffesdiplomatiche che solo per la scarsa considerazione che
avevano di lui i reggenti degli altri stati non ebbero fatali conseguenze. Non
era una nullità, ma in ogni caso era inadatto al ruolo che ricopriva. Ancora
peggio fu il figlio Umberto I, succeduto al padre nel 1878; di indole conservatrice,
diede avvio all’avventura coloniale italiana, segnata da tragici insuccessi e
dai costi esorbitanti fatti pagare alla popolazione. Il suo è stato un regno di
grande corruzione (basti pensare allo scandalo della Banca Romana); inoltre
Umberto I appoggiò sempre apertamente un primo ministro come Crispi, che era un autentico farabutto. Fu fautore della
Triplice Alleanza con Austria e Germania e sul piano interno una sanguisuga di
prima categoria, e guai a chi osava protestare, anche civilmente, perché l’uomo
era spietato (ricordate il massacro a Milano del 1898 operato dai cannoni del
generale Bava Beccaris con
oltre duecento morti fra i dimostranti che pacificamente chiedevano il calmiere
del prezzo del grano con una riduzione dell’esosa e odiosa tassa sul
macinato?). Fu proprio questa strage ad armare la mano dell’anarchico GaetanoBresci che a Monza il 29 luglio del 1900 esplose contro il
sovrano tre colpi di rivoltella che lo uccisero. La vedova Margherita, che era
sua cugina e quindi anche lei una Savoia, ancor più conservatrice del marito,
lo pianse coniando anche il famoso appellativo di “Re buono”, del tutto fuori
luogo dati i precedenti. Gli successe Vittorio Emanuele III, senz’altro il
peggiore, per quanto un po’ più intelligente degli altri. Di meriti che gli si
possono attribuire non ne vedo e mi sembra giusto porre in evidenza invece i
demeriti che riassumo brevemente. All’approssimarsi della prima guerra mondiale
cominciò con il perfezionarsi nel tenere un piede in due scarpe, sostenendo la
triplice alleanza mentre invece stava brigando per tradirla e passare alla
triplice intesa; nel corso del conflitto poi protesse sempre il comandante in
capo generale Cadorna, sebbene la sua incapacità divenisse ogni giorno più
manifesta e fu a malincuore, perché costretto dagli alleati, a sostituirlo dopo
Caporetto con il generale Diaz; Mussolini non sarebbe andato al potere se lui
non l’avesse designato quale nuovo presidente del consiglio e la sua lunga
amicizia con il dittatore gli fece chiudere più di un occhio, come sul delitto
Matteotti e sulle leggi razziali; non batté ciglio nel caso della guerra
d’Etiopia, ben sapendo che sarebbe stato un disastro per le casse dello stato e
per quanto tentennante (un giorno sì, un giorno no) sottoscrisse l’atto di entrata
del paese nel secondo tragico conflitto mondiale; restò fedele al duce
nonostante le sconfitte, sebbene l’opposizione al fascismo crescesse nel paese
in modo massiccio e a livello di qualsiasi classe, salvo poi farlo arrestare
dopo la famosa seduta del Gran Consiglio del 25 luglio 1943. Il suo capolavoro,
però, doveva ancora arrivare e fu il modo in cui furono condotte le trattative
con gli alleati per pervenire a un armistizio; infatti, mentre trattava con gli
emissari americani e inglesi, lasciava aperta una porta ai tedeschi, ma quel
che è peggio fu l’8 settembre del 1943, giorno in cui alla radio il Maresciallo
Badoglio, dietro sue precise disposizioni, comunicava l’avvenuta cessazione delle ostilità con
gli ex nemici, senza essere chiaro, e senza peraltro aver predisposto il
necessario su che comportamento avrebbero dovuto tenere i militari italiani di
fronte alla comprensibile reazione dei tedeschi (aggiungo che il re aveva
rifiutato un consistente aiuto militare, costituito dal soccorso di una divisione
di paracadutisti americana, nel timore di veder sminuito il suo prestigio);
poi, i personaggi di questo zoo di incapaci, di inetti e di vigliacchi si
diedero alla fuga, tipico di chi tradisce e qui i traditi furono ben tre: i
tedeschi, gli alleati e il popolo italiano. Di Umberto II, succeduto al padre,
che abdicò poco prima del referendum c’è ben poco da dire, anche lui poco
capace, ma almeno, viste le tradizioni di famiglia, sincero.
Questi sono stati i Savoia re d’Italia e proprio non se ne sente la
mancanza; comunque è sempre meglio conoscerli di più e questo libro di Smith è
un’indispensabile fonte a cui attingere a piene mani e con vero
interesse.
Denis Mack Smith (Londra,
3 marzo 1920) è lo storico inglese più noto nel nostro Paese e ha scritto libri
relativi alla storia italiana dal risorgimento in poi.
Renzo Montagnoli
Se penso a come i Savoia sono stati descritti sui libri di storia, quando si era ragazzi, provo un senso di amarezza e di ingiustizia. Noi, con occhi da adolescenti, credevamo, senza lasciarci sfiorare dal dubbio, a tutto ciò che ci veniva raccontato, da tempo ora sappiamo che le cose sono andate diversamente. All'amarezza e all'ingiustizia oggi si accompagna l'indignazione. Una vera vergogna!
RispondiEliminaGrazie.
Piera