La scala di ferro
Il brivido sale e scende lungo la scala di
ferro
Quasi sempre, leggendo un noir di Georges
Simenon, (Liegi 1903-Losanna 1989), siamo toccati dalla persuasione di avere
sotto gli occhi la sua opera più solleticante, perché – nonostante il folto
numero di libri usciti dalla penna del grande belga -, incontriamo nella sua
scrittura il fascino dell’imprevisto, della novità, espresso nello stile di uno
dei più seducenti scrittori del Novecento, al di là della sua vis di giallista.
E questa sensazione la stiamo ancora una
volta provando, giunti all’epilogo di La scala di ferro (pp.179,
euro18) che Adelphi, intento dal 1985 a pubblicarne l’opera
omnia, ci propone ben tradotto da Laura Frausin Guarino.
Teatro dell’azione è Parigi, boulevard
de Clichy, non lontano da Place Pigalle, Montmartre. Maestro nel
creare atmosfere di morboso charme, l’Autore trascina anche noi su e giù per la
scala di ferro a chiocciola (da cui il romanzo mutua il titolo), che
congiunge il grande negozio di articoli di cancelleria con la camera da letto
dell’appartamento in cui vivono da quindici anni il quarantenne
Étienne e la moglie Louise, di sette anni più vecchia.
Respiriamo, fin dall’incipit, un clima di ardente sensualità che riscalda la
pagina e la nostra fantasia.
‹‹Louise si spogliava lentamente ed
era come se sbocciasse, le spalle rotonde, le braccia, le cosce emergevano
dalla penombra, e infine il corpo intero che sembrava animare la stanza di una
vita intensa e appassionata. E quando diceva: “Vieni!”, la sua voce era ancora
diversa, una voce che lui non aveva sentito a nessuna altra donna››.
Da qualche mese Étienne avverte
malesseri ricorrenti, strane crisi che parrebbero di cuore, con
un ‹‹intenso e molesto calore alla gola››. Si fa visitare
da tre medici diversi di nascosto dalla moglie che spia, sempre più inquieto.
Tiene appunti che nasconde tra le pagine di un libro, in cui annota il
progredire del suo stato di salute e soprattutto la qualità dei cibi che gli
vengono serviti.
Noi lettori abbiamo l’illusione di sentire
il cigolio della scala a chiocciola, ad ogni movimento di Louise. Percepiamo
l’ansia del protagonista, uomo introverso, solitario che in quella moglie più
anziana ha trovato tutta la gioia che la vita gli aveva sempre negato. L’ansia
sale come una persecuzione soffocante.
Étienne quasi farnetica, parla con se
stesso, ripensando ai primi incontri con Louise, folgorato da quella che
continua ad apparirgli dotata di un’irresistibile sensualità. Allora, all’epoca
dei primi incontri, la donna era sposata con Guillome che poco dopo
morì, distrutto da una misteriosa malattia.
Étienne ha sempre saputo di essere
stato l’involontaria causa della morte del primo marito, avvelenato lentamente
dall’arsenico. E adesso sa che sta arrivando il suo turno. Louise è una perfida
dark lady, un personaggio che avrebbe affascinato la fantasia di Hitchcock. Gli
elementi parrebbero esserci tutti per un film del maestro del brivido.
La suspense, invece, è tutta nostra, fino
all’ultima riga, con un finale da lasciarci sbalorditi, un epilogo che non ci
saremmo mai aspettati.
Certamente, La scala di ferro è
uno dei migliori tra i ventotto romanzi, dall’autore stesso
definiti ‹‹duri››, (senza contare le ventitré inchieste di Maigret)
che Simenon scrisse nei nove anni che trascorse a Lakeville, Connecticut,
uno dei periodi più felici della sua vita.
Grazia Giordani
Una recensione veramente interessante, in piena sintonia con l'opera analizzata. L'ho letta con curiosità aspettando impaziente la conclusione. Bella.
RispondiEliminaGrazie.
Piera