mercoledì 23 marzo 2016

La scala di ferro, di Georges Simenon



La scala di ferro


Il brivido sale e scende lungo la scala di ferro



Quasi sempre, leggendo un noir di Georges Simenon, (Liegi 1903-Losanna 1989), siamo toccati dalla persuasione di avere sotto gli occhi la sua opera più solleticante, perché – nonostante il folto numero di libri usciti dalla penna del grande belga -, incontriamo nella sua scrittura il fascino dell’imprevisto, della novità, espresso nello stile di uno dei più seducenti scrittori del Novecento, al di là della sua vis di giallista.
E questa sensazione la stiamo ancora una volta provando, giunti all’epilogo  di La scala di ferro (pp.179, euro18) che Adelphi, intento dal 1985 a pubblicarne l’opera omnia, ci propone ben tradotto da Laura Frausin Guarino.
Teatro dell’azione è Parigi, boulevard de Clichy, non lontano da Place Pigalle, Montmartre. Maestro nel creare atmosfere di morboso charme, l’Autore trascina anche noi su e giù per la scala di ferro  a chiocciola (da cui il romanzo mutua il titolo), che congiunge il grande negozio di articoli di cancelleria con la camera da letto dell’appartamento in cui vivono da quindici anni il quarantenne   Étienne e la moglie Louise, di sette anni più vecchia. Respiriamo, fin dall’incipit, un clima di ardente sensualità che riscalda la pagina e la nostra fantasia.
‹‹Louise si spogliava lentamente ed era come se sbocciasse, le spalle rotonde, le braccia, le cosce emergevano dalla penombra, e infine il corpo intero che sembrava animare la stanza di una vita intensa e appassionata. E quando diceva: “Vieni!”, la sua voce era ancora diversa, una voce che lui non aveva sentito a nessuna altra donna››.
Da qualche mese Étienne avverte malesseri ricorrenti, strane crisi che parrebbero di cuore, con un ‹‹intenso e molesto calore alla gola››.  Si fa visitare da tre medici diversi di nascosto dalla moglie che spia, sempre più inquieto. Tiene appunti che nasconde tra le pagine di un libro, in cui annota il progredire del suo stato di salute e soprattutto la qualità dei cibi che gli vengono serviti.
Noi lettori abbiamo l’illusione di sentire il cigolio della scala a chiocciola, ad ogni movimento di Louise. Percepiamo l’ansia del protagonista, uomo introverso, solitario che in quella moglie più anziana ha trovato tutta la gioia che la vita gli aveva sempre negato. L’ansia sale come una persecuzione soffocante.
Étienne quasi farnetica, parla con se stesso, ripensando ai primi incontri con Louise,  folgorato da quella che continua ad apparirgli dotata di un’irresistibile sensualità. Allora, all’epoca dei primi incontri, la donna era sposata con Guillome che poco dopo morì, distrutto da una misteriosa malattia.
Étienne ha sempre saputo di essere stato l’involontaria causa della morte del primo marito, avvelenato lentamente dall’arsenico. E adesso sa che sta arrivando il suo turno. Louise è una perfida dark lady, un personaggio che avrebbe affascinato la fantasia di Hitchcock. Gli elementi parrebbero esserci tutti per un film del maestro del brivido.
La suspense, invece, è tutta nostra, fino all’ultima riga, con un finale da lasciarci sbalorditi, un epilogo che non ci saremmo mai aspettati.
Certamente, La scala di ferro è uno dei migliori tra i ventotto romanzi, dall’autore stesso definiti ‹‹duri››,  (senza contare le ventitré inchieste di Maigret) che Simenon scrisse nei nove anni che trascorse a Lakeville, Connecticut, uno dei periodi più felici della sua vita.

Grazia Giordani



1 commento:

  1. Una recensione veramente interessante, in piena sintonia con l'opera analizzata. L'ho letta con curiosità aspettando impaziente la conclusione. Bella.
    Grazie.
    Piera

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