Il
mio nome è Asher Lev – Chaim Potok - Garzanti
– Pagg. 317 – ISBN9788811632153 - €
13,00
I
sentieri della vena narrativa di Potok sono caratterizzati da
costanti che rendono ogni suo scritto al contempo familiare e originale. Le
ambientazioni, le tematiche, gli stessi personaggi sono riconducibili alla
rappresentazione della comunità ebrea di New York pur assumendo valore assoluto
e universale così da rendere il contenuto e il messaggio validi in ogni quando
e in ogni dove. Sempre e ovunque.
I
personaggi sono in primo luogo membri di una comunità allargata e
religiosa e insieme di una famiglia: accade ovunque dalla notte dei tempi;
vivono intime fratture rapportandosi con se stessi e con gli altri: quando è
accaduto il contrario? Entrano in conflitto con la cultura che li ha generati:
evolvono, involvono, patiscono, soffrono, in una parola vivono.
Asher Lev ,
pittore ebreo ormai affermato, osannato, criticato
e ripudiato non sfugge al dolore del mondo e ce lo racconta
prendendo parola e affermando il suo punto di vista nel tentativo di smitizzare
la sua persona, semplicemente offrendosi nella sua integrità morale ed etica
consapevole della prepotente doppiezza che suggella ogni animo umano: insieme
bene e male, virtù e vizio, eccellenza e mediocrità.
È in
lui il dono della pittura che lo domina e ne guida il suo
sentire e il suo comunicare. Esso scavalca tradizioni, sentimenti, mina i
rapporti comunitari, i legami famigliari, conduce all’isolamento cui
costringe, spesso, un’affermata individualità. A niente
valgono le raccomandazioni :”Molte persone quando sono giovani
sentono di possedere un grande dono. Ma non sempre ci si abbandona a un dono.
Una vita la si dedica a ciò che è prezioso per se stessi ma anche per la propria
gente”.
Tutta
la comunità assiste alla crescita di Asher contribuendo
anche a mantenere intatta almeno l’integrità religiosa così sentita
dai Chassidim Ladover, accettando quindi l’apertura verso
il mondo della rappresentazione figurativa, aprendosi alla possibilità di aver
generato un ebreo osservante e artista. Quando però il sentire artistico
porterà al limite il codice iconico e simbolico e con esso il suo
doloroso messaggio, la frattura sarà
inevitabile. Potenti tutti i personaggi , eccezionale la
loro carica umana a partire dal trittico di famiglia : un padre, una
madre, il loro unico figlio, loro e della comunità tutta. Funzionali ,
misteriose e formative il Rebbe e il pittore anziano.
Immancabile la contestualizzazione storico- politica e con essa l’impegno culturale
e sociale, imperdibili i riferimenti al mondo dell’arte e della cultura in
generale.
Il
romanzo è corposo, tenero e pungente al tempo stesso, doloroso, intimo e
prezioso come sa esserlo un rapporto di parentela, ma
soprattutto è prezioso perché aprendo il mondo chiuso degli ebrei ortodossi di
Brooklyn , facendoci familiarizzare con il loro universo permette di superare
le barriere culturali per ribadire l’universalità del sentire
umano. È inoltre un’interessante e presumo autobiografica riflessione
sulla tensione creativa, sull’essere artista, sul rapporto realtà e
rappresentazione, sulla funzione dell’arte, sul rapporto,
infine, tra l’artista e le sue opere.
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