lunedì 18 aprile 2016

Miracolo a Piombino, di Gordiano Lupi



Gordiano Lupi
Miracolo a Piombino
Historica edizione
2016
Candidato al Premio Strega 2016


Nella vita si è spesso a un bivio e massimamente nell’adolescenza. Marco possedeva tutte le incertezze, i malumori, le crisi tipiche dell’età adolescenziale e la consapevolezza indotta dagli adulti che era arrivato il momento di cambiare rotta. Avviene però che proprio in quel momento si fratturi il dialogo di emozioni e di affettività con i propri genitori e ci si chiude in se stessi in un indecifrabile mutismo, incapaci di trovare un punto d’incontro.
Forse per questo Marco  trovava nei gabbiani del porto degli amici a cui poter idealmente confidare le proprie pene. Proprio come il gabbiano Robert a cui la vita aveva riservato il dubbio dell’avvenire, l’incertezza di quel che sarebbe stato. Pensieri che questi rimuginava in solitudine lontano dallo stormo degli altri gabbiani impegnati ad essere sempre proni col becco sulla scia dei pescherecci alla ricerca di cibo.
Emerge in tutto il suo valore metaforico il parallelismo tra il giovane Marco e il gabbiano Robert. Spicca il ruolo della memoria, soprattutto in tale momento cruciale della vita, soprattutto quando la Vita, quella del vecchio nonno, sta per avere fine, ma non così le storie da lui narrate al nipote quando costui era piccolo, rimaste impresse nell’animo al punto da farne mezzi con cui ancorarsi al passato contro le intemperie e le incertezze del futuro.
L’unico conforto sempre lui, il gabbiano, reietto e solitario pure lui, a cui confidava i segreti pensieri e il desiderio di imparare a volare, senza però ottenerne risposta, o forse la risposta c’era ma Marco non riusciva a comprenderla. Bisogna adottare lo stesso linguaggio per comprendersi o almeno avere l’animo sgombro da pregiudizi.
In entrambi tuttavia si percepiva il desiderio di un mutamento o forse di una fuga.
Quando ci si sente diversi o quando gli altri sembrano diversi non rimane che la fuga, dalle mode, dall’ovvio, dal conformismo, in una parola la solitudine, e il tentativo al contempo di scoprire realtà altre che diano il senso della libertà, condizione unica per l’autodeterminazione, per poter essere quello che ci si sente di essere. Soprattutto nell’età in cui “niente era chiaro ma tutto era possibile” (pg.44).
Il protagonista dunque anela a null’altro che a fare le scelte, le sue, negli studi, come nella musica, e in genere nella vita secondo le sue inclinazioni.
Un ribelle, dunque, proprio come il gabbiano Robert; insofferente dello stereotipato mondo degli adulti l’uno, come delle regole del vecchio Rudy l’altro.
Il romanzo si snoda lungo una serie di quadri giustapposti che si intersecano e si sovrappongono tra similitudini e metafore nel dedalo di strade, vie, profumi di casa, panchine di fronte al mare, fiori arsi dal sole e dalla salsedine, tra lo scrosciare delle fontane e il frastuono dei pennuti in cerca di cibo, il sibilo lontano della sirena dell’acciaieria e lo sferragliare dei treni sulle rotaie. Eppure tutto questo scenario, registrato con dovizia di particolari annodati dal filo del ricordo, è inadeguato per chi anela a scoprire il senso della vita.
Intanto prende consistenza la fuga dal reale e il perdersi nella lettura dei romanzi di eroi e di malinconia, mentre la mente era lacerata dal rancore verso “una piccola città, bastardo posto” in cui vigeva ancora una situazione di micro feudalesimo clientelare, e il sogno di un mondo altro, lontano, magari di “raggiungere la fine del mondo”.
I rischi, i pericoli sono sempre in agguato quando si cerca di vivere secondo le proprie scelte a riprova che non è possibile recidere i legami col mondo che ci circonda nonostante l’irrefrenabile voglia di solitudine.
Il solo essere nel mondo ci lega al mondo in tutte  le sfaccettature e c’è sempre un momento in cui appare evidente l’attrito con la “normalità”, e il dolore di altre fratture, insospettabili, inattese, come la morte della persona amata, come la sua Sara, naturalmente è seguito dal crollo dei sogni e delle speranze. Di qui lo sperdimento, la paura, la tristezza e il rifugio nella memoria come unico stridente conforto.
“Ti nascondo dalle pene del mondo” lo confortava un volto di bambina emerso dal limbo della memoria, provocando una scia di rammarico, persino di rimorso nel suo animo.
 E si sentiva profondamente infelice, nonostante non avesse ancora vent’anni.
“Avevo vent’anni, Non permetterò
A nessuno di dire che quella è la più
Bella età della vita”
I versi di Paul Nizan gli martellavano in testa.
Infatti proprio a causa di questo amore che non aveva mantenuto la promessa di vita, il cui ricordo pesava come un macigno, il senso di colpa gli toglieva la serenità facendolo sprofondare in incubi tetri.
Per antitesi il suo Alter ego, il gabbiano, godeva una vera e propria situazione paradisiaca in un mondo neppure tanto diverso da quello che aveva lasciato sentendosi pienamente realizzato in una diversa dimensione pur ancora raminga e solitaria. Ma altra era la disponibilità verso la vita.
Essere al mondo significa stare nel mondo e non poter eludere gli incontri neppure quelli casuali. I quali a volte si rivelano decisivi e fondamentali, capaci di infrangere la barriera di solitudine ed isolamento, perché due solitudini possono affrontare insieme il futuro, non escludendosi dalla comunità.
Alla fine l’ignoto non era un luogo da conoscere nelle spiagge deserte o tra gli scogli lontani all’orizzonte. Era un grumo nel cuore e un’asfissia dell’anima che andavano risolti in altro modo.
E la gabbianella ne aveva tutto il merito “perché vicina al suo mondo interiore”.
Sicché alla solitudine di prima pian piano va sostituendosi, grazie all’incontro con la compagna, solcata ugualmente da intensi passati dolori, un pensiero d’amore che scaldava l’anima e apriva gli occhi alla vita, al tempo il quale ogni giorno è una conquista da vivere come un dono.
Questo è guardare al futuro: accettare quello che avviene ogni giorno, giorno dopo giorno, nelle nostre vite.
Per antitesi Marco non riesce a liberarsi di un amore appena vagheggiato e già finito, di una febbre d’amore che l’aveva bruciato e di cui ora vegliava le ceneri, del fremito dei baci destinati a rimanere inerti per sempre.
Eppure sente di dover reagire, pena la sua perdizione, comprende che la solitudine non è una gabbia d’oro, è solo una gabbia che rischia di trasformarsi in assenza e fare di lui un assente nella vita.
Non rimaneva dunque che ribellarsi al destino che egli stesso stava tratteggiando. Occorreva uno sforzo d’amore per la vita, uno slancio vitale che significasse speranza e non ripiegamento sul passato, capacità d’amare e non tristezza  per un amore perduto. Riuscire a conciliare il passato e il presente, a preparare tramite il presente il futuro, proprio come fosse un miracolo, anche per Robert il gabbiano, per miracolo, fu l’inizio di una svolta di vita e l’abbandono della solitudine.
Tutto ciò per capire che “è inutile cambiar sede se l’anima è malata” (Seneca) e che non esiste mondo migliore di quello in cui sono radicati affetti profondi, antichi, vecchie memorie da custodire perché rivivano in noi e non siano ceneri da contemplare in sterile silenzio.
Dunque ritornare alla terraferma equivaleva rinascere a nuova vita, dato che nuovi erano i sentimenti con cui guardare al già noto. 
Pertanto l’isola a cui approdare per rinascere non è lontana da noi, è in noi purché si abbiano occhi tersi per guardare alla vita.
Solo così il passato non è sinonimo di angoscia o di rimpianti e rimorsi ma una fucina a cui attingere con rinnovato esperienza.
La metafora del volo, aspirazione alla conoscenza del noto gabbiano Jonathan Livingston dell’omonimo romanzo di Richard  Bach,  diventa in questo piccolo ma prezioso romanzo l’epilogo felice che vede in Robert il Maestro, in Marco il discepolo finalmente diventato docile e pronto ad accogliere consigli e insegnamenti, a spezzare la solitudine per ritornare spiritualmente nell’ambiente che l’aveva visto crescere, con consapevole gratitudine, repressa  dapprima e quasi odiata a causa di un eccessivo ed egoistico amore di sé, mal interpretato e fonte di altri dolori.
Il volo era iniziato, la libertà si era dischiusa sulle ali di un gabbiano. La nuova vita guardava al futuro.
In conclusione, un romanzo con un importante messaggio, scritto in stile piacevole e scorrevole, quasi fotografico, maggiormente fantasioso nelle pagine in cui protagonista è il gabbiano,  ricco di particolari, alquanto eccessivo nelle citazioni, che rischiano di apparire sfoggio erudito. 
Notevole il corredo di suggestive fotografie in bianco e nero dell’artistaRiccardoMarchionni. Conclude il libro il racconto Il ragazzo di Cobre che affronta, che affonda lo sguardo nella condizione complicata dell’adolescenza in realtà obiettivamente difficili, come quella del terzo mondo.
E su tutto campeggia il  grande amore per Piombino.

Adriana Pedicini


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