Crociera
fluviale da Mantova a Venezia
di
Renzo Montagnoli
Come
molti sanno, il fiume Mincio, emissario del lago di Garda, dopo un
percorso caratterizzato da rapide e da piccoli salti d’acqua fra le
colline moreniche, dopo l’abitato di Goito rallenta sua
corsa, fino a scorrere pacato e nei pressi della città di Mantova si
allarga in quello che può essere considerato un alveo troppo grande
per la sua effettiva forza, formando così tre laghetti, quello
superiore, quello di mezzo e quello inferiore. Su questi specchi
d’acqua funziona un servizio privato di navigazione che porta i
turisti a conoscere le attrattive di una zona umida, quasi paludosa,
in cui prosperano numerose ninfee e una moltitudine di uccelli di
varie specie.
Per
quanto possa sembrare strano, io che abito a 5 km. dalla città e che
da giovane e in un non ancora lontano passato solcavo queste acque
prima con una barca e poi con una canoa, fino all’11 giugno non ero
mai salito su una di queste motonavi che, soprattutto nel fine
settimana, vanno su e giù da una sponda all’altra. L’occasione
per rimediare è stata una gita organizzata al mio paese, con meta
Venezia, e così l’11 giugno sono stato uno dei settanta
crocieristi che si è imbarcato al molo del lago inferiore. Quella
che segue, senza avere le pretese di essere un racconto di viaggio, è
la cronaca di questa mia esperienza.
Prenotato
il posto un mese prima, ero un po’ titubante perche il tempo
atmosferico dei giorni precedenti e quello previsto per quello del
viaggio sembravano lasciare ben poche speranze: temporali, anche
forti, acqua a catinelle, addirittura con grandine. Ma già all’ora
fissata per l’imbarco (8,30) se il cielo non era sereno, però non
era minaccioso e non c’era pioggia. In attesa di salire, tutti
guardavano in su, chi timoroso, chi invece speranzoso e dato che mi
ritengo pragmatico mi sono detto che tanta valeva accettare quello
che sarebbe stato e che comunque, almeno in partenza, non era poi
male.
La
motonave, della compagnia Motonavi Andes, era un catamarano, con
due ponti, di cui quello superiore scoperto, e con una capienza di 90
posti. Se non vado errato i partecipanti erano appunto settanta e
quindi non c’era da star stretti come le sardine. Tolti gli
ormeggi, il natante lentamente ha lasciato la riva, puntando verso il
largo e quasi scivolando si è diretto alla sponda opposta, dove c’è
la raffineria di petrolio da tempo inattiva. Qui apro una parentesi,
pescando nei ricordi perché rammento le piccole petroliere, chiamate
bettoline, che giornalmente, partendo da Marghera, risalivano il Po e
poi il Mincio, trasportando il greggio. Poi, probabilmente perché il
Po, in estate, ha delle magre paurose, tali da rendere difficile o
impossibile la navigazione, queste piccole navi furono sostituite
da uin oleodotto che adesso probabilmente finirà in
ruggine. Da lì il passaggio della motonave sotto il ponte della Diga
è avvenuto abbastanza in breve, considerando che il varco è
veramente stretto e occorre calcolare la manovra al centimetro.
Il basso Mincio
Una
volta sorpassata questa specie di forca caudina siamo entrati nel
paesaggio incantato del basso Mincio, in quella località umida, ai
bordi paludosa, che viene chiamata Vallazza. A parte i tappeti
di ninfee, lì si trovano numerose colonie di cigni, abbondano gli
aironi cinerini, le candide garzette, i cormorani, i gabbiani di
fiume. C’è una moltitudine di volatili che, se si sta sul ponte
superiore, non solo è possibile vedere, ma a volte qualcuno più
ardito sfiora la nave stessa. Il corso del fiume è dolcemente
sinuoso, con le rive fitte di vegetazione, che comprende anche un
buon numero di salici. Oltre gli argini si scorgono campanili e nei
tratti in cui sono più bassi, vale a dire già in golena, ogni tanto
ci sono ville con il prato all’inglese che scende al fiume. A parte
il rumore del diesel della motonave si ode solo il respiro della
natura, fatto da lontani richiami e da ronzii di insetti. Dopo un po’
che si naviga si ha quasi l’impressione di trovarsi lontani dalla
civiltà, magari in qualche affluente del Rio delle Amazzoni, tanto è
la natura che regna e non a caso l’intera zona è protetta ed è
parte del Parco del Mincio.
L’unico
segno di una civiltà industriale è dato da un paio di idrovore del
Consorzio di Bonifica che nei periodi siccitosi aspirano l’acqua
per irrigare i campi e in quelli piovosi invece riversano nel fiume
quella che è in eccesso sul suolo. Sono costruzioni d’epoca e ben
si integrano con l’ambiente, tanto che si finisce con l’apprezzare
la loro presenza.
Lungo
tutto il percorso la voce dell’accompagnatore ha illustrato ciò
che c’era da vedere e quindi si è stati ben informati.
La chiusa
Dopo quasi
un’ora di navigazione siamo arrivati a un semaforo rosso che è
posto davanti alla porta vinciana a monte della chiusa
di Governolo. Il Po è generalmente più basso del Mincio e la
differenza di quota in estate può arrivare a 5 metri; l’11 giugno
il dislivello era di m. 1,40; venuto il verde, aperta questa porta
gigantesca e subito rinchiusa dopo il passaggio, ci siamo trovati in
un bacino in cui l’acqua lentamente cominciava a scendere.
Raggiunto il livello del Po è stata aperta la porta vinciana a
valle e abbiamo ripreso la navigazione, portandoci nell’asse
mediano del grande fiume. L’imponenza del corso d’acqua, le rive
meno fitte di vegetazione mi hanno portato a concludere che il Mincio
è molto più bello, per quanto le numerose isole e isolette del Po
costituiscano una loro attrattiva, insieme ai paesi di cui si sorgono
oltre l’altro argine solo i campanili delle chiese.
Il Po
Il Po
Si tratta
di Revere, Ostiglia, Sermide, Castelmassa, Occhiobello,
tutte località rivierasche, ognuna delle quali ha un approdo
attrezzato. Sempre navigando, a mezzogiorno è stato servito
il pranzo a base di pesce e questa è l’unica nota dolente di un
viaggio peraltro bellissimo. In genere a Mantova si mangia bene,
sulla Virgilio l’11 giugno si è mangiato male e non perché i
piatti non fossero quelli indicati nel programma, ma perché tutto
era cucinato in modo pessimo, con l’unica nota positiva
dell’ottimo Custoza DOC e del caffè; per il resto meglio
non dire altro. All’incirca alle 14 siano arrivati
all’approdi di Santa Maria Maddalena e lì siamo sbarcati, perché
ci attendevano due autobus per portare il gruppo dei
gitanti a Sottomarina di Chioggia, dove siamo arrivati dopo circa
un’ora dopo aver anche sbagliato strada. E’ stata l’occasione,
visto il panorama tipicamente agreste, per un riposino. Arrivati alla
località balneare ci siamo imbarcati su un’altra motonave sotto
una spruzzatina di pioggia, l’unica che avremmo avuto per l’intero
viaggio. Lì abbiamo trovato un’altra guida che ci ha
illustrato ciò che si vedeva lungo l’itinerario in laguna.
Dapprima abbiamo incontrato la lunga isola di Pellestrina, una
stretta striscia sabbiosa, intensamente abitata, però, e protetta
dall’erosione del mare aperto dai murazzi, un’imponente
barriera granitica edificata nella seconda metà del XVIII secolo
dalla Repubblica di Venezia. A seguire abbiamo visto altre
isole, cioè la piccola Alberoni e Poveglia, pure lei minuscola.
Le tranquille acque della laguna, nonostante un venticello non
proprio tenue, davano l’impressione di scivolare su uno specchio,
ma gli occhi ovviamente erano rivolti a destra, a quel succedersi di
isole, di case colorate, di campanili di chiese marittime.
Venezia - Verso l'attracco alla Riva
degli Schiavoni
Dopo una
quarantina di minuti abbiamo cominciato a scorgere Venezia, a cui
siamo arrivati dalla parte d’accesso probabilmente più bella, cioè
quella che consente di avere un colpo d’occhio su piazza San Marco
e sul Palazzo Ducale. Da lì a poco ci siamo messi in fila, come in
un parcheggio pieno in cui si attende che qualcuno lasci libero un
posto, per attraccare alla Riva degli Schiavoni, che non erano degli
schiavi grossi, ma così erano chiamati ai bei tempi della
Serenissima i mercanti che provenivano dalla Dalmazia e che i
veneziani chiamavano anche Slavonia o Schiavonia. Lì approdavano con
le navi mercantili e avevano anche il posto fisso per esporre la loro
merce. Dopo una decina di minuti di attesa abbiamo attraccato, siamo
scesi e lì ci attendeva un’altra guida turistica, una bella e
simpatica signora dai capelli biondi. Dato il limitato tempo a
disposizione (all’incirca due ore) si è limitata ad accompagnarci
in Piazza San Marco per mostrarci esternamente i suoi monumenti: il
Palazzo Ducale, la Basilica, il campanile, la torre dei tre orologi,
con i due mori che battono le ore, il Caffè Florian, forse il
più antico al mondo (e anche uno dei più cari!).
Piazza San Marco con sullo sfondo
un transatlantico
Venezia - Gondole
Inoltre,
desiderosi di mangiare un buon gelato, anche per saziare lo stomaco
gravato dal pessimo pranzo, e senza spendere un capitale, ci ha
condotto, attraverso ponti e stradine, a una gelateria di cui siamo
risultati tutti soddisfatti.
Laguna al tramonto
Indi, alle 19, abbiamo lasciato Venezia
a bordo di una motonave diretta a Fusina, dove ci attendevano
gli autobus per il ritorno. Lì, siamo ripartiti alla volta di
Mantova via autostrada, non senza aver sbagliato percorso nella zona
industriale di Marghera (una vicenda anche ridicola, perché siamo
andati dentro a uno stabilimento). Stanchi, ma soddisfatti siamo
arrivati a Mantova alle 22,45.
Fonti:
Motonavi Andes Negrini
Nota
Bene: Le fotografie a corredo dell’articolo sono state scattare
dall’autore
Bello seguirti in questo viaggio, Renzo, mi è piaciuto molto.
RispondiEliminaMolto belle anche le fotografie. Venezia è sempre bella, ma credo che la parte più suggestiva del viaggio sia stata quella in cui il Mincio la faceva da padrone. Conosco meno quelle zone, ma quando ne hai parlato, anche qualche tempo fa, mi hanno sempre affascinato.
Grazie.
Piera
Renzo, con questo pezzo, ti sei conquistato un posto da documentarista presso la National Geographic...!Stefano.
RispondiElimina