Il popolo – Bernard
Malamud - Minimum fax – Pagg.
395 – ISBN 9788875217327 -
Euro 15,50
“Sono
un indiano ma sono anche un ebreo”
Sedici
racconti inediti o poco conosciuti scritti nell’arco temporale
compreso tra il 1940 e il 1984, presentati in ordine cronologico, più
un romanzo inedito “Il popolo”, costituiscono questo volume
apparso per i tipi della Minimum fax nel mese di maggio del 2016.
Volume splendidamente corredato di una prefazione eccellente sui
libri incompiuti, firmata Alessandro Zaccuri, e di un’introduzione
di Robert Giroux, colui che fu amico ed editor di Malamud e che ebbe
il merito di far pubblicare postumo “Il popolo” nel 1989.
La
raccolta ha sicuramente il pregio di fungere da ottima selezione di
un trentennio di attività di scrittura e chi conosce la produzione
malamudiana ci ritrova personaggi, ambienti, situazioni già
incontrati nei suoi bellissimi romanzi. In molti di essi è
rappresentato il tema dell’incomunicabilità in seno alla famiglia,
oppure il delicato equilibrio dei rapporti sociali; i personaggi di
questi racconti ambiscono ad un’altra vita ( “A new life”?), si
nutrono di speranze, di arditi slanci, di vere e proprie ribellioni
ma poi finiscono quasi sempre per soccombere e riallinearsi al loro
vissuto dal quale hanno momentaneamente deragliato rischiando di
cambiare tutto e per sempre. Chi osa è solo un pazzo (“Confessione
d’omicidio”) ma forse non è riuscito neanche lui e la pazzia è
un tarlo come il ronzio che solo Zora sente temendo di divenire matta
(“Il ronzio di Zara”). Tra i racconti “Esorcismo” a evocare i
rapporti intercorsi tra Malamud e il giovane Philip Roth e due
“biografie immaginarie”: una dedicata a Virginia Woolf e l’altra
ad Alma Mahler. Due gioiellini.
“Il
popolo” invece è la bozza di un grande romanzo che Malamud non ha
potuto terminare e che iniziò a scrivere quando la sua lucidità
intellettuale non era più integra anche se non venne mai meno
l’abnegazione verso l’arte dello scrivere. Rivedeva le sue opere
infinite volte con un metodo di revisione molto preciso: nulla era
casuale o affrettato o ,peggio ancora, superficiale. Valutare
pertanto uno scritto postumo, un incompiuto è per me far torto
all’autore. Si può dunque solo accennare al contenuto. Yozip è
l’ebreo errante fuggito dalla sua patria (?) per evitare il
servizio militare, che incappa in una serie di casi fortuiti i quali
lo portano a diventare venditore ambulante, falegname, sceriffo,
portavoce dei diritti di una tribù indiana, dopo essere stato dagli
indiani rapito, capotribù infine di quel Popolo.
Fortemente
ironico nelle situazioni e nei toni, al limite del disincanto tipico
della fiaba, è un’allegoria che ricalca il destino di un altro
popolo, quello ebraico. Che differenza passa infatti tra un pogrom e
un assalto ad un accampamento indiano? Quale differenza tra un esodo
e una riserva? Il male, la sopraffazione accomunano i popoli, gli
uomini: chi lo subisce e chi lo fa , perché, quando uccidi, il primo
a morire sei tu.
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