venerdì 7 novembre 2014

La non-banalità del male, di Ferdinando Camon

La non-banalità del male
di Ferdinando Camon


"Avvenire" 21 settembre 2014


Alcuni di noi (mi ci metto in mezzo) hanno sempre avuto qualche riserva sulla formula “banalità del male”, con cui Hannah Arendt definiva il sistema etico-culturale che guidava il lavoro di Adolf Eichmann. Ci sembrava una formula riduttiva. La “banalità del male” banalizza il male. Lo riduce. Toglie a quel male le dimensioni epocali che ne fanno un unicum nella storia. Si è discusso sul concetto diunicum, qualcuno ha osservato che ci sono stati altri grandi massacri. Sì, ma non come questo: questo voleva eliminare una “razza”, cioè modificare la composizione dell’umanità. Hannah Arendt ha coniato quella formula studiando Eichmann al processo, e osservandolo da vicino. Imperturbabile e pignolo. Un automa. Un ottuso. Che ha l’aria di non capire quello che ha fatto. Eppure, ha visto le gasazioni in atto, e (dice nel processo) non gli son piaciute, ma (nella vita) ha continuato come prima. Per inerzia. Atonia morale. La Arendt mandava gli appunti del processo al giornale che l’aveva inviata (“The New Yorker”), e “la banalità del male” fu la formula riassuntiva sull’imputato, il suo cervello, il suo sistema. Da noi quello è il titolo (da Feltrinelli) del libro della Arendt.
Adesso quella tesi viene contestata da un altro libro, appena uscito negli Stati Uniti. Poiché il titolo originale del libro della Arendt è “Eichmann in Jerusalem”, Eichmann al processo, l’autrice tedesca Bettina Stangneth intitola il suo libro di risposta “Eichmannbefore Jerusalem”, com’era Eichmann prima del processo. In Italia ne dà notizia il “Foglio”. Sono titoli che dicono tutto. Eichmann catturato e portato in processo era un uomo dimesso, dalle risposte flebili, dallo sguardo braccato, dagli occhietti sfuggenti, spaventato dalla prospettiva dell’impiccagione, ineluttabile fin dall’inizio. Ha tutto l’interesse a presentarsi come “stupido”. Ma questo non è l’Eichmann che “ha fatto la storia”. È l’Eichmann che “esce dalla storia”. Esce banalmente, cercando una scappatoia che non c’è. Ma quando ha fatto la storia non era così. Per vedere bene Eichmann e tutti gli altri che han lavorato con lui o sopra di lui (lui era solo un tenente colonnello) non bisogna collocarli sullo sfondo di un tribunale dove sono imputati. Loro non c’entrano con quello sfondo. Sono lì per errore, fallimento, sconfitta. Contro la loro volontà. La loro storia, la loro vita, la loro volontà li colloca su un altro sfondo, ed è da questo che ricevono la giusta luce per essere osservati e capiti. Tutti noi che abbiamo visto questo sfondo, vi abbiamo immaginato loro. Basta aver visto, nella sala del comando di un lager, le pareti piene di simboli, stella gialla, rettangolo rosso, rettangolo nero…, che i prigionieri portavano sul petto. Rivelano la vastità dell’impero, e delle “razze” che lo componevano. Guardandoli capisci che chi comandava l’impero, che fosse lì o a Berlino, doveva essere un artefice intelligente e attivo del meccanismo, non un esecutore ottuso. Se un meccanismo così gigantesco fosse stato gestito da funzionari ottusi, come vuol apparire Eichmann, atoni inintelligenti carrieristi, non avrebbe funzionato. C’è intelligenza, in quel funzionamento. Maligna, diabolica, ma c’è. Guardiamo su una carta il reticolare intrico dei binari che portavano là… Il numero dei campi sparsi per l’Europa… I numeri delle vittime, milioni dal Sud Europa, milioni dall’Est… I reparti che facevano quelle cose, i volontari che s’arruolavano in massa, la fedeltà che mantenevano fino all’ultimo… “Quel che ci vien chiesto è di essere sovrumanamente inumani” spiegavaHimmler. Quelli che gli hanno obbedito cercano poi, nei processi (Eichmann non è il solo) di nascondere la “sovrumana inumanità” sotto un’apparente stupidità. È la loro ultima astuzia.  



                                                  Foto da web



Con riferimento a La non-banalità del male di FerdinandoCamon
di Renzo Montagnoli

Lo sterminio è il frutto di un piano lungamente studiato nei minimi particolari che non può essere opera di soggetti incapaci, ma di individui dotati di un’acuta intelligenza, benché al servizio del “Male”.
Eichmann era consapevole, come tutti gli altri preposti alla progettazione e all’attuazione di questo piano scellerato, ed era pure consapevole, al pari degli altri, del tremendo crimine che commetteva, tant’è che Himmler e le sue SS hanno cercato di cancellare ogni traccia delle loro sciagurate azioni.
La loro forza derivava unicamente dall’essere volontariamente parti di una macchinazione che con ogni probabilità, al tempo stesso, li inorgogliva e li spaventava. Orgogliosi per realizzare ciò che mai mente umana aveva ideato, paurosi delle conseguenze nel caso che il terzo Reich fosse stato sconfitto. Singolarmente, prigionieri di chi li ha catturati per far loro espiare le colpe, sembrano esseri fragili, si appellano a una litania di cui cercano di convincersi:obbedivo agli ordini.  Improvvisamente l’orgoglio spariva, frantumata la coesione fra i vari ingranaggi, questi si spezzavano, rivelavano la paura per una dura e giusta condanna. I superuomini, caduti nella polvere, si fingono tonti, incapaci, vittime di un’ingiustizia perché loro eseguivano gli ordini.
Tutto sommato, questi diavoli del male appaiono di uno sconcertante squallore; privi della forza dell’insieme, senza più potere, implorano un’umanità a loro sconosciuta. Il male non è mai una banalità, ma il frutto di una scelta e se poi il fatto che esso diventasse il pane di ogni giorno ancora non può essere definito come una banalità, bensì come un insano desiderio di potere decidere fra la vita e la morte di altri, un piacere sottile che si autoalimenta, una perversione di cui si avverte l’esigenza e anche la paura, ma non il rimorso, e infatti nessuno di questi criminali processati ha mai avuto rimorso, ma solo paura per la propria sorte.
Non superuomini, ma untermenschen, piccoli esseri che hanno creduto di essere Dio.   





2 commenti:

  1. Ferdinando Camon ha fatto bene a scrivere questo articolo per smontare il mito di questi superuomini che tanto male hanno fatto all'umanità e la replica (se si può chiamare così) di Montagnoli ha rafforzato il pensiero dello scrittore veneto.
    Bravi entrambi.

    Agnese Addari

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  2. Due profonde riflessioni che spingono entrambe a porsi la stessa dolorosa domanda: come hanno potuto fare quello che hanno fatto? Ogni volta che leggo qualcosa su questi crimini sento in me un'indignazione quasi feroce. E' vero, nessuno di loro ha mai mostrato pentimento, solo arroganza o paura per la propria sorte. La legge del branco, la forza del branco, non funziona solo per quelli che chiamiamo animali ma anche e soprattutto per le "bestie umane", da soli perdono tutta la loro forza apparente. L'ultimo vergognoso e inutile tentativo per salvarsi è dunque quello di mostrarsi stupidi, incapaci dunque di aver dato ordini in piena consapevolezza.
    Lessi, tempo fa, le lettere e il diario di Hetty Hillesum, scritti straordinari per la bellezza interiore di questa ragazza ebrea, ma anche per la capacità con la quale ha saputo descrivere e lasciare a noi quel terribile pezzo di storia.
    Grazie per questi due interessanti approfondimenti.

    Piera

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