L'occhio
rapace
Interventi
critici
di Andrea Molesini
Libreria Editrice Cafoscarina
Saggistica letteraria
Pagg. 484
ISBN 9788875432294
Prezzo € 16,00
Fra recensioni e saggi
Andrea Molesini, scrittore,
poeta, traduttore, saggista, nonché anche docente di Letterature comparate
presso l’Università di Padova, noto per i suoi romanzi Non tutti i bastardi sono di Vienna, La primavera del lupo e Presagio,
ha raccolto in questo corposo volume di 484 pagine numerose sue recensioni, che
ne costituiscono la prima parte chiamata Letture,
e alcuni dei suoi saggi, che occupano la seconda e ultima parte, denominata Interventi. Considerata la corposità dell’opera, sarebbe
arduo parlare di tutto e di conseguenza mi limiterò solo a un paio di articoli,
che, a mio giudizio, appaiono particolarmente significativi.
Per quanto concerne le
recensioni non poche, anzi tante, riguardano libri di poesia e la cosa appare
più che giustificata essendo Molesini
anche poeta e autore di diverse raccolte pubblicate da varie case
editrici. Peraltro, ma la circostanza non mi sorprende più di tanto, vi è da
notare che la presenza di opere di poeti italiani è pressoché sporadica, mentre
massiccia è di quelle di autori di lingua inglese.
Sono scritti abbastanza
brevi, quasi dei flash che vanno a illuminare, giusto per il potenziale
lettore, l’opera esaminata, in una capacità di sintesi non certo comune.
Particolarmente riuscita quella di I
racconti di Robert Louis Stevenson, narratore inglese che stimo in modo
particolare e a cui molto deve la letteratura. Il mare, che sempre è presente
nelle sue opere e che esercita un fascino dell’avventura, dell’elemento abitato
da mostri orrendi e sconosciuti che altri non sono se non i timori del nostro
inconscio, per quanto accennato da Molesini, è allocato nel testo nel momento migliore, tanto che
pare quasi di avvertire la presenza di Stevenson stesso. E tutto esemplarmente
in poche pagine (solo quattro) per uno di quei narratori che assai raramente, e
comunque pochi in un secolo, si affacciano, illuminandolo, sul palcoscenico
della letteratura.
Ci sarebbe altro, ma fra gli
Interventi, cioè i veri e propri
saggi, ce n’è uno di cui non solo è opportuno, ma doveroso parlare. L’impersonalità del terrore, questa
volta non di poche pagine, mira a una disamina attenta di quell’immane tragedia
che è stata l’olocausto e viene fatta con razionalità, senza enfasi e retorica,
come uno studio psicologico e sociologico
di quel che è stato – e spero non se ne debbano avere altri – il più
grande terrore di tutti i tempi. Forse qualcuno potrà storcere il naso, perché
tanti hanno scritto in proposito, ma il saggio di Molesini ha il pregio di un
compendio approfondito e anche comprensibile di una materia difficile. Si parte
dalle facile presa delle idee razziste di Adolf Hitler su un popolo, come
quello tedesco, su cui invece non avrebbero dovuto avere effetto, stante i
contenuti liberali, di pluralismo, di tolleranza della letteratura popolare
germanica di prima e dopo la Grande Guerra, di cui si erano nutriti milioni di
massaie e lavoratori. E al riguardo viene riportata un’illuminante
interpretazione di G.L. Mosse “A mio
avviso la risposta è che molta gente riteneva di star leggendo racconti di
fate, e che per tradurre nella realtà la favola ci voleva un Hitler. In altre
parole, c’è, io credo, in tutti i fascismi (e non già soltanto nel nazismo) il
senso di una porta che introduce ad un’utopia di tolleranza, di felicità, di
produttività e di ogni altra cosa cui
la gente aspra. Per quanto ne so, nessun fascismo ( e certamente non il
nazismo) menò vanto del suo carattere oppressivo; tutti sostennero invece che
l’oppressione era una fase transitoria, necessaria per realizzare una sorta di
utopia.”. C’è logica in questa opinione, anche se vi è da precisare che per
concretizzare la fase di indottrinamento occorrevano, e occorsero, altre
circostanze, fra le quali ricordo la crisi economica di cui i veri responsabili
non vollero mai accollarsi la colpa e fu così più facile propinare alla folla
il tradizionale capro espiatorio: l’ebreo. L’abilità di mettere in atto il
terrore a piccoli passi, l’incredulità degli stessi ebrei, l’organizzazione
burocratica con cui fu messa in atto la Shoah, ben diversa dagli improvvisati
pogrom, concretizzarono questa immane tragedia. Le reazioni spirituali dei
deportati si suddivisero in tre fasi. La prima fu lo choc dell’accettazione,
comprensiva appunto della cattura, della deportazione e dell’avvicinamento al
lager stipati come bestie in vagoni piombati; la seconda è stata quella della relativa apatia verso il
dolore, il proprio e quello degli altri; la terza e ultima fu relativa alle reazioni psichiche
successive alla liberazione. L’articolo poi affronta il tema della razionalità
e morale, cioè la nota difesa dei persecutori una volta arrestati: “eseguivo solo degli ordini”, come se
gassare migliaia di persone fosse del tutto naturale, come se quegli esseri
umani fossero del bestiame portato al macello. La responsabilità però non è
solo degli aguzzini, ma investe anche il disinteresse al riguardo di milioni di
cittadini dei paesi conquistati dalla Germania. E i nazisti sapevano cosa
stavano facendo? Se ne vergognavano? Nutrivano timori per le conseguenze dei
loro atti? Forse delle tre domande, l’ultima è quella pertinente, perché
altrimenti non si spiegherebbe come abbiano sempre cercato di nascondere il
loro misfatto, così che se qualcuno si fosse salvato non sarebbe stato creduto.
Fu un’epoca di orrore criminale, che però ha proiettato alcuni effetti anche
sui nostri anni. I revisionisti, i negazionisti fanno leva sul fatto che non
esista un registro del terrore, fornendo spiegazioni fantasiose sulla scomparsa
di milioni di ebrei. E’ evidente che anche questa panzana fa parte dei sogni
malati di questi neo-nazisti e neo-fascisti, indispensabile per poter
riproporre l’originale utopia.
A questo bellissimo articolo
sono di supporto opinioni e opere di due grandi pensatori, due ebrei, di cui il
primo ha sperimentato sulla propria pelle l’Olocausto: Primo Levi e Zygmunt
Bauman.
Questo libro è veramente
bello e il saggio su L’impersonalità del
terrore già da solo ne giustifica l’acquisto.
Da leggere, pertanto.
Andrea Molesini ha
pubblicato con Sellerio Non tutti i bastardi sono di Vienna, che
nel 2011 ha vinto, tra gli altri, il Premio Campiello e il
Premio Comisso, tradotto in inglese, francese, tedesco, spagnolo e
molte altre lingue, La primavera del lupo (2013) e Presagio (2014).
Inoltre ha curato libri
di poesia di Pound, Brodskij, Hughes, Walcott e Simic. Nel 2008 ha ricevuto il
Premio Monselice per la traduzione letteraria. Insegna Letterature comparate
all’Università di Padova.
Sito internet: www.andreamolesini.it
Recensione di Renzo Montagnoli
Bella ed esauriente recensione per un libro che sembra veramente interessante.
RispondiEliminaAgnese Addari
Una bella recensione ad un volume ricchissimo in cui sono presenti recensioni e saggi. Mi è piaciuto rileggere qualcosa su R.L. Stevenson, autore amato da molti di noi, e mi ha colpito molto il saggio preso in esame, L'impersonalità del terrore, il cui titolo già sgomenta e l'approfondimento che ne scaturisce addolora e fa star male. Ma è questo il prezzo da pagare affinché la memoria non scolorisca.
RispondiEliminaDavvero coinvolgente.
Piera